Note biografiche
Sonia Giovannetti è nata nel 1963 a Roma, città dove vive e lavora.
Coltiva da sempre l'interesse e lo studio per la letteratura, l’arte e la filosofia. Nel suo percorso associa la cultura con l’impegno civile, umanitario e ambientale. Si dedica alla scrittura di poesie, racconti, saggi ed articoli letterari. Recensisce libri. Fa parte di molte associazioni promotrici di arte e letteratura, è membro e Presidente di Giuria a Premi letterari nazionali e internazionali.
Dal 2008 segue un progetto di scrittura e lettura creativa "scrivere fa bene", prima con la Redazione Laboratorio Rai Eri, poi per l'Associazione Civita, seguendo la "scuola del racconto" e affrontando temi della narrazione e del linguaggio della comunicazione con Paola Gaglianone, nonché con Mimmo Liguoro per il giornalismo.
Su “Il Nuovo”, giornale d’area Roma nord, cura la rubrica letteraria “In punta di penna” con la pubblicazione dei suoi componimenti (poesie, racconti e riflessioni) tesi alla valorizzazione del territorio e delle tradizioni.
Le è stato attribuito il Premio Scriveredonna 2012 al Concorso indetto dalle Edizioni Tracce di Pescara presieduto dalla poetessa candidata al premio Nobel per la letteratura Maria Luisa Spaziani. Ha ricevuto la stella alla Carriera Letteraria dal Club dei Cento di Milano (2013). Le è stato conferito dal Premio Internazionale Spoleto Festival Art Letteratura 2014 il Premio “Per i grandi meriti e gli importanti risultati ottenuti come scrittore e letterato”. Le è stata assegnata la segnalazione per meriti letterari come donna scrittrice all’iniziativa “Noi sì - la forza positiva delle donne nella costruzione della società” da Roma Capitale I Municipio in occasione della festa della donna 2014.
Partecipa a numerosi “reading” di poesia, tra i più ambiti nel panorama romano, tra i quali si ricordano:
Isola della poesia all’interno dell’isola Tiberina, Roma;
Centro Ebraico Il Pitigliani Roma per il giorno della memoria;
Incontro su Pasolini Associazione Letteraria in memoria di Pier Paolo Pasolini;
Leopardi’s day all’interno dell’isola Tiberina, Roma;
Incontro del 25 Aprile - Giornata della Liberazione a Porta San Paolo.
Numerose poesie e racconti sono state pubblicate da testate giornalistiche, Riviste e Antologie Letterarie. Tra le raccolte poetiche, oltre alle Antologie dei premi letterari, si ricordano:
La Fondazione Mario Luzi di Roma (2012)
“Roma Città delle Meraviglie” Lepisma Edizioni (2013)
“Poeti per il giorno della Memoria” Centro Pitigliani (2013)
“Editon 2012” Torino a favore della ricerca sulle malattie genetiche della Fondazione Telethon;
“La luce oltre le crepe” a favore della ricostruzione delle biblioteche colpite dal terremoto in Emilia (2013).
Ha partecipato a diversi Festival e Rassegne di Letteratura.
Una sua poesia dedicata al “viaggio” è stata esposta a Torino, presso l'atrio della stazione della metropolitana Porta Nuova.
Le sue opere hanno ottenuto il I° premio ai seguenti concorsi:
- Premio Letterario Internazionale “Il Molinello” Siena - Accademia Mondiale della Poesia di Verona e Unesco, WWF, Fai.. - Concorso Internazionale di poesia Alessandro Manzoni a Milano – Premio Scriveredonna Editore Tracce - Concorso di poesia Club dei Cento Torino e Radio Italia Uno - Concorso di narrativa Accademia Euromediterranea Messina - Premio letterario “Poeti in Sanremo” - Concorso Nazionale di Videopoesia di San Benedetto del Tronto - Premio Palazzo Ruspoli Cerveteri Concorso Narrativa - Premio Letterario Internazionale Premio13 Centro di Poesia di Roma - Premio letterario Internazionale Città di Cattolica narrativa - Premio AssoLei del Centro di Poesia di Roma con l’Associazione AssoLei, concorso finalizzato a contrastare ogni discriminazione e violenza.
Il 2° posto al Premio Letterario Internazionale Di Liegro Roma 2013 - al Premio Letterario Internazionale Europa 2014 dalla Universum Academy Svizzera (Pace e diritti Umani) - al Concorso Internazionale di narrativa di Bardonecchia 2012 - al Premio Internazionale di poesia di Bardonecchia TO 2013.
Il 3° posto al Premio Letterario Internazionale Montefiore per silloge inedita, al Premio Eureka Eventi di Terni e al Premio Internazionale Athena di Piombino.
Le sono state riconosciute, tra le altre, le Menzioni al Premio Mondiale di Poesia Nosside 2012 e al Premio di Cultura Europeo Wilde; al Premio Internazionale Don Luigi di Liegro di Roma 2012; al Concorso di Poesia “Falcone e Borsellino Vent’anni dopo”; al Premio per la Pace, l’InterAzione e la Solidarietà dal Centro Studi Cultura e Società di Torino.
E’ risultata tra i dieci premiati al Premio Letterario Internazionale “Juan Montalvo” di Poesia, Racconto e Fotografia ispirato al tema: “Storie, geografie, paesaggi migranti e tutela dell’ambiente” indetto dal Consolato Generale dell’Ecuador a Milano in collaborazione con l’Università Bicocca (2014).
Pubblicazioni:
Poesia:
-“Ho detto alla luna” Editore Aletti (2012). Il libro è stato premiato alla Domus Talenti di Roma da Eureka Eventi d’Arte (2012) e ha ottenuto altresì una menzione d’onore al premio Nazionale di Poesia, indetto da Athena Spazio Arte (2012)
-“Tempo vuoto” Edizioni Tracce (2013). Già vincitore del Premio Scriveredonna 2012, ha ottenuto:
-il Premio Speciale della Critica al Concorso Letterario Internazionale Città di Pontremoli 2014;
-il Premio Speciale della Giuria al Premio Letterario Nazionale "Voci" 2014 di Abano Terme;
-è risultato nella limitata rosa dei pre-finalisti al Premio Letterario Città di Camaiore 2014.
-“Un altro inverno” Kairòs Editore (2015) già premiato come silloge inedita dal Premio 13 indetto dal Centro di Poesia di Roma.
Narrativa/racconti:
-“Le ali della notte” Armando Curcio Editore (2014). Il libro è stato premiato al Premio Internazionale Montefiore Cattolica con il riconoscimento “Special The Best” (2014)
Pubblicazioni e Note critiche

HO DETTO ALLA LUNA – Aletti Editore
Prefazione di Domenico Turco (poeta, scrittore, filosofo, critico, giornalista e saggista)
Vivere di poesia. Tale affermazione si sente spesso, e non sempre indica autentica adesione ad una concezione poetica del mondo e dell’esser-ci, in chiave heideggeriana. Ma nel caso di una straordinaria artista della parola come Sonia Giovannetti vivere di poesia può e deve intendersi nel significato più bello, rivelativo e profondo dell’espressione. Sonia sente molto il richiamo del poiein, del Dire in versi. Perché la poesia è parte integrante del suo DNA, e non può farne a meno: sarebbe come chiedere all’aquila di smettere di volare, o al fuoco di cessare di ardere! Sonia Giovannetti non potrebbe concepire il suo percorso esistenziale senza la presenza luminosa della Poesia.
La passione per le parole è celebrato in versi di grande spessore letterario: Parole lanciate portate dal vento. Il soffio le dondola le accarezza e fa mia la tua poesia. E' scritto là dove lo senti quel nome di speranza Quel tutto che fa di un giorno uno diverso da tutti. (Parole)
È proprio la poesia “quel nome/di speranza”, che conosce una definizione fantastica: “Quel tutto che fa/di un giorno/uno diverso da tutti.” L’ars poetica santifica un giorno qualunque, e lo rende speciale. In tutto il libro circola un’atmosfera particolare, di suggestione e di stupore, caratteristica della poesia come in quanto linguaggio del cuore, dell’anima, ma anche del pensiero. La parola rappresenta la cornice, mentre il concetto ne è il contenuto. Sonia Giovannetti è una poetessa di grande talento, che scrive avendo a cuore non solo la forma; riflette ad alta voce, l’autrice di Roma, e lo fa senza soffocare l’ariosa magia che aleggia tra i suoi versi. È arduo per l’esegeta di turno penetrare nel mistero di un mondo poetico-letterario, in quanto si è spesso tentati di aggiungere degli elementi extratestuali, estranei rispetto alle volontà e ai propositi del poeta. Il metodo migliore parte dalla messa in discussione della precomprensione, quell’idea generica, ”media” che presuppone un messaggio a priori dell’opera, prima ancora di immergersi in un’attenta lettura e nel successivo approfondimento critico. Le poesie qui raccolte sono così chiare e limpide da fugare ogni forma di misreading (mis-lettura) che possa in qualche modo mistificare lo spirito della raccolta, tradendo l’ispirazione originaria. Ma qual è questa ispirazione? Nel costruire il testo Sonia Giovannetti ha avuto un’intuizione tanto semplice quanto geniale: la poesia è dialogo, incontro, comunicazione, nell’accezione etimologica del verbo latino communico, che significa letteralmente mettere in comune, far partecipe. Non a caso, la poetessa romana estrae dal cilindro l’efficacissima metafora della cassetta delle lettere: “Questo libro è una cassetta postale. All'interno lettere. Non sono tante e neanche poche, ma su tutte le buste bianche, scritto con penna a sfera blu, un unico e solo destinatario. Su ognuna c'è scritto: Alla Luna. E' un dialogo con quel perlaceo che esiste e persiste. Sempre. E' questo il senso vero dei versi che si è voluto incollare, con la saliva, dentro i lembi di ogni lettera spedita, la luna come presenza nei tanti svariati momenti di una vita passata con il naso all'insù.” Il destinatario è la Luna, simbolo cosmico, specchio magico nel quale ci riflettiamo tutti. Destinataria d’onore, e cliché. C’è la luna complice degli amori rubati della giovinezza, la luna scoperta dal pirandelliano Ciàula, esploratore di un mistero che da sempre si rinnova, ma che chi è costretto a vivere solo di giorno ignora. C’è la luna di Leopardi, che nel Canto di un pastore errante dell’Asia chiede “Che fai tu, Luna in ciel,/dimmi che fai, silenziosa luna?”. La Luna di Sonia ha perso l’aura mitologica e la severa ieraticità di una dea pagana. È l’amica dei sogni e come tale diventa il punto di riferimento implicito di queste lettere in versi. Qualsiasi persona innamorata della Poesia, anche il comune lettore, non può non identificarsi nel ritratto del “bardo” tratteggiato letterariamente, modello non astratto, in quanto Sonia Giovannetti si rivolge probabilmente ad uno dei suoi tanti amici colleghi di penna: Sei stato vicino a me poeta quando ne avevo più bisogno Mi hai riscaldato e accarezzato quando tremavo. Tu eri negli orizzonti nelle sere e nelle notti che bussavano ai vetri col grande vento. Eri nel mio silenzio nel tacere delle ore deserte nel mio cercare intenso ai litorali tesi nelle mattine d'argento. E' giunto il momento, poeta, di venire io da te. Sarà gioia il mio viaggio e palpitante il cuore. S'apriranno le strade come ventagli di cielo se mi accompagnerai ancora nel viaggio della poesia. (In viaggio)
Così conclude il suo canto d’amore all’amico-Poeta, con tono ispirato e suggestivo linguaggio metaforico, di sapore surrealista: S'apriranno le strade come ventagli di cielo se mi accompagnerai ancora nel viaggio della poesia. Il Poeta, compagno di viaggio nel viatico della poesia, è anche un angelo, presenza salvifica che apre le strade/come ventagli di cielo. L’accostamento tra poeta e angelo non è casuale: va riscontrata infatti una forte parentela ideale tra le due figure, ipostatizzazioni del messaggero quale intermediario linguistico anticamente posto sotto l’egida del comunicatore par excellence, il dio Hermes. L’angelo nasce ben prima del ciclo storico cristiano, era presente nella cultura pagana con analoga funzione mediatrice tra l’umano e il divino. L’Anghelos è anche il nunzio della tragedia, genere dionisiaco e mistico, ma anche lo stesso poeta, ermeneuta delle emozioni e sommo sacerdote laico, laicissimo, di quell’infinito mistero che è la Parola, in senso analogo – perché no? – al Verbum cristiano-cattolico o al Logos neoplatonico. Sonia Giovannetti opera e vive nel segno di questa Parola permeata del mistero dell’essere, al quale si accosta non con l’ottica impersonale del teologo, dello scienziato o del filosofo, ma con gli occhi entusiasti e limpidi di una poetessa innamorata della vita e dell’umanità nei suoi vari componenti. Oltre ad essere vicina al summenzionato Hermes, Sonia è la fedele seguace anche di un altro dio-spiritello molto attento alle vicissitudini umane: Eros/Cupido. In diverse pagine della raccolta si dà voce all’Amore, senza quell’atteggiamento retorico e quella nuance enfatica di tanta poesia a sfondo romantico. Già da una lettura di superficie emerge una certa idea “poetica” dell’Amore radicata su valori etico-estetici piuttosto peculiari, quali: misura, delicatezza, gentilezza del dire, dolcezza di dizione e pacata morbidezza, tutti ingredienti che danno al suo personale canzoniere un tocco di originalità davvero unico. Evidente nella straordinaria Mille donne:
Sarò mille donne per te In ognuna mistero eppure mi conoscerai così bene in tutte. Un gioco dove vincerà il più folle il migliore quello che tremerà di più. Sarò avvolta da un alone senza contorni e riuscirai a vedermi ad occhi chiusi. Scapperò dai tuoi baci e le tue labbra non si staccheranno mai dalle mie. Cercherai un vestito bianco mosso dal vento sulla riva del mare e sarò vestita di nero. Non mi avrai mai eppure nessuno mi avrà più di te.
Qui il sentimento è sussurrato, non urlato, mancano gli accenti maledetti e disperati dell’amore-passione romantico o decadente. Eppure l’assenza di un pathos estremo non danneggia la poeticità intrinseca nella poesia ma la esalta, sottolineando i tratti salvifici, rasserenanti e consolatori di un Amore che trascende la categoria volgare del possesso per concentrare l’attenzione sull’unio mystica di due anime: Non mi avrai mai/eppure nessuno mi avrà più di te. L’Amore è la nota dominante di L’ho detto alla luna; presente in varie forme, raccontato in differenti affascinanti storie di vita (e della vita), il sentimento sommo per antonomasia ispira versi ipnotici, che penetrano nei segreti recessi dell’anima e fanno vibrare fortemente le corde d’arpa del cuore: Tu sei come il mare Distesa lucente e abisso infinito Ho scritto di te ogni giorno e rimani ancora la pagina bianca Sei il desiderio di Dio che non ho […} (“Il mare e Te”).
{…] con l’anima che viaggia aperto volo di rondine per cogliere tanto sole l’intero sole e dirti che sono felice della nostra stagione di parole di poesia di favole diventate mani che intessono nuovi colori e crescono d’universi[…] (“Con i miei occhi”)
Passerò la vita ad aspettarti nutrendo il sentimento di poesia che mi lega a te finché avrò occhi per scrivere Amerò i silenzi che bruciano la distanza che provoca dolore finché la speranza non mi lasci mai sola (“Aspettandoti”)
Amare è vivere, per Sonia Giovannetti, donna e madre straordinaria, che ha fatto dell’apertura verso gli altri la ragione della propria esistenza, e l’ispirazione di un corpus poetico di eccezionale valore letterario ma anche sociale, se poniamo attenzione non solo al meraviglioso afflato lirico che impreziosisce le varie poesie, e cogliamo aspetti che trascendono il confessionalismo individualistico, per farsi autentico, collettivo e persino cosmico dialogo d’amore: un amore puro, purissimo, e non rivolto ad un destinatario solo, che abbraccia tutto e tutti. Di volta in volta la poetessa dichiara il suo amore, oltre che al partner, ai soggetti più diversi: un bimbo appena nato, il vento personificato, due piante: E' già mattino del nuovo giorno prima rugiada primo raggio. A te che così piccolo attendi una mano dedico i miei pensieri. (“Rugiada in uno sguardo lontano”)
Mi sono innamorata del vento. Che mi porta una voce che non conosco e che mi sussurra parole. Timidamente vuole arrivare ma io avverto la sua portata. (“Una voce nel vento”).
Piante inclinate e cadenti agli occhi comuni Ai miei siete belle e appoggiate l'una all'altra per non cadere da sole. (“Siete belle”).
Sonia Giovannetti è laica, ma la sua laicità presenta accenti e consonanze spirituali, che la accomunano all’ispirato cantore del Cantico delle Creature ed alla sua volontà di celebrare la bellezza del mondo. Come Francesco Sonia esalta lo splendore dell’essere e la meravigliosa unicità della vita, vita interpretata quale dono, grazia, infinita sorpresa. Vita alla quale aderisce con lo slancio e l’entusiasmo dell’adolescenza, senza perdere di vista la folle saggezza di una condivisione assoluta tra i vari Io individuali e il Noi di un sentimento-collante che ci connette all’Altro e agli altri. Con la sua fascinosa opera prima la poetessa ha voluto lanciare implicitamente l’appello a cambiare la realtà che ci circonda, a vedere daltonicamente il mondo in rosa. Che è, come dire: nel nome e nel segno dell’Amore, solo dell’Amore. Infatti, Sonia Giovannetti consegna alla Luna i suoi sogni, le sue fantasie, i suoi pensieri, che sono soprattutto pensieri d’amore. Nella sostanza, il messaggio “neo-francescano” di questa raccolta non è molto diverso dall’assunto della prima epistola di Paolo di Tarso ai Corinzi, la famosa Lettera che innalza l’Amore persino al di sopra della speranza e della fede: “Queste dunque le tre cose che rimangono:/la fede, la speranza e l'amore;/ma di tutte più grande è l'AMORE!”.
LE ALI DELLA NOTTE Appunti di una settimana
Armando Curcio Editore
Nazario Pardini su Le ali della notte di Sonia Giovannetti:
Vivere a pieno tutti i desideri nello spazio di una settimana. Questo il patto miracoloso il cui profilo si distende su una narrazione di notevole vis immaginifico-creativa e di polisemica significanza. Opera che tiene in sé la vita, o meglio la ricerca sensoriale e spirituale, oggettiva e traslata della sua consistenza: il percorso di un’Autrice che vola con la sua fantasia dal mondo e nel mondo (una fantasia però alimentata e nutrita da dati reali, veri o verosimili): amore, slanci emotivi, sogno, coscienza di esistere, situazioni, fatti vari e imprevedibili; interrogativi sul peso di parole non dette, questioni non facilmente risolvibili: “… Quanto hanno contato in noi le parole vere non dette nel tempo? Quanto ci hanno inaridito?...”.Una corsa nel tempo e contro il tempo partendo dalle minuzie della quotidianità o dalle riflessioni di memoria eraclitea per azzardare sguardi oltre il possibile se riferiti alla vicenda umana, alle cose che si sentono prima delle parole. Una ricerca attenta e puntuale della Bellezza (anche se non imbrigliabile al comando dell’ego, considerando quel possibile acquazzone imprevisto che “arriva e sconvolge tutto”); una voglia di cercarla, di costruirla questa Bellezza, partendo dalla consapevolezza delle brutture del mondo, dal potenziale della Poesia, dall’etereo oltre il limen entro cui è costretto il nostro essere, dalla verità dell’esistenza sublimata in canto; sì, un impegno vòlto a cercare un varco per la felicità. E tanto basta per avere speranza: “Non escludendo i ricordi, ma estraendo dalla memoria solo quelli che voglio e li accarezzo col pensiero, perché tutto lascia traccia”. E soprattutto un volo, un ardito volo verso un m mondo indefinito, vago, ma anche sociale e umano correlato al desiderio di mutare l’esistere. Un senso di apertura ben concretizzato in Giorgio, ad esempio, che vede nel mare lo slancio verso una libertà di romantica memoria, dalle tinte delacroisiane, che si fa simbolo di aspirazioni non facilmente perseguibili, considerando gli schemi convenzionali di una società. D’altronde l’animo umano, nei confronti dell’esser-ci limitato ad un gioco così breve e fatale da sollevare inquietudini di melanconica natura, è di una profondità tale da dover scomodare persino Pascal. Per cui si attua un dicotomico contrasto fra l’aspirazione ad un’ascesa immaginifica senza fine e la concretezza di una realtà che definisce, limita, e non dà spazio alla inconsistenza del fatto di essere umani. E la parola è successiva al pensiero, segue un groviglio interiore che vorrebbe tornare alla luce. Ma è un segno fragile e caduco, una costruzione morfosintattica virtuale, troppo umana, che non arriverà mai a tradurre la complessità e la potenzialità spirituale quale quella dell’anima e del pensiero. Soddisfare desideri di cospicua fattura esistenziale, rispettando, però, il miracolo di una breve durata: quale simbologia più consona se riferita alla nostra vicenda esistenziale; ai suoi interrogativi. Ed è qui che si incastona la funzione double face del memoriale. Da un lato forza interiore per prolungare l’esistere; dall’altro, come direbbe Luzi, ricostruzione della nostra vera storia. Prende appunti, scrive, fissa sensazioni, emozioni, vicissitudini per renderli il più possibile duraturi: un grande patrimonio tramite cui riconoscersi, individuare il foco vitale, dacché costituito da immagini, da realtà trasformate: serbatoio di canti e poemi. Quella è la vera vita; è essa che ha superato la prova dell’oblio, rendendosi degna di restare. Di fatto il succedersi dei casi è imprevedibile ed è al di fuori e al di sopra delle nostre congetture. Quanta potenza meditativa di sapore leopardiano in questo passo: “E’la vita, a volte, a obbligarci verso la strada da percorrere. Trasforma anche il senso che noi pensiamo di averle assegnato. E’ lei, solo lei, che finisce per tracciarlo e per imporcelo… Come nel caso di questo giorno festivo. Ogni domenica dovrebbe essere un ricamo di cuore e portare con sé l’illusione di un filo colorato… E invece arriva un acquazzone e sconvolge tutto…”. Non è facile sottrarci alle disillusioni, alle sottrazioni a cui siamo sottoposti momento dopo momento. E’ tutto qui il valore della poesia, ci dice Sonia. Creare un mondo sconfinato in cui il sogno abbia la sua buona parte, dacché il sogno è vita, vi si fonde in maniera simbiotica; è il suo prolungamento, il completamento dell’inattuazione. E’ là che ci rifugiamo ed è là che tracciamo lo sconfinato azzurro in cui immergere le nostre deficienze a che si ripopolino di una pluralità esistenziale, sociale e civile, da cui l’azione, da cui l’impegno, da cui la forza d’animo che l’onirico spesso motiva. La vita è l’arte dell’incontro, affermava un poeta brasiliano amico di Ungaretti, Vinicius De Morales; e vita e poesia sono la stessa cosa. E lo è per Sonia Giovannetti: “La vita non è un racconto ma il tuo racconto è la mia vita”.
Un’abilità prosastica di alta levatura in cui un ruolo determinante è costituito da un panismo generoso, ora mansueto e docile, ora luminoso, ora brumoso e piovoso a concretizzare con puntualità psicologica personaggi, concetti, aspirazioni che alimentano la narrazione:
“E’una giornata di primavera, il sole scalda quel poco che può.”, “Sono seduta sullo sdraio del terrazzo che si affaccia sul mare a respirare quest’aria leggera e odorosa di salsedine. Aspetto che anche il sole dia il suo addio alla giornata, aspetto che si perda dietro la linea netta e misteriosa che separa per un istante il cielo dal mare. Aspetto il tramonto la partenza.”, “E’ morto il sole. La pioggia ha fatto calare di colpo il sipario su una giornata estiva.”, “Non è neanche una giornata di sole sereno… Il sole riesce a scaldare anche le giornate più anonime.”, “Il soffio del vento mi fece ascoltare anche uno stridore forte, giù nella valle.” Tanti squarci panoramici, dove sembra dominare mare, vento, pioggia e sole, a introdurre magistralmente partenze, addii, abbracci di vita, inquietudini, melanconie, illusioni o sortite verso la luce. Un procedimento narrativo di perspicua valenza analitico-introspettiva dove sequenze di varia natura si alternano attraendo il lettore. Anche perché vari e articolati sono i contenuti: l’amore:“Risentire l’odore del vento della libertà che mi scorreva nelle vene e correre insieme a lui, per non farmela scappare ogni volta che tentavano di togliermela”, l’impegno sociale: “Nel mondo , i giorni come le notti non hanno la stessa ora e la stressa purezza. E nella diversità delle ore nel mondo, ci sono occhi di bambini senza famiglia, senza strada, senza orizzonti. Occhi in attesa. Occhi immersi in uno stupore solitario che mai sarà cancellato”. Un procedere anaforico che poggia la penna su quegli occhi che tanto fanno vibrare l’anima.
E la vita, la vita, la vita… Sì, l’amore della scrittrice per questa sacrosanta storia. Unica, insostituibile, a cui lei dà tutta se stessa nella speranza di migliorarla, anche, dal mercimonio che spesso la infanga. Ma quello che emerge è proprio questo legame indissolubile che Sonia, poetessa e narratrice, sventola ai quattro venti. Una passione che fa della vita stessa un pozzo a cui attingere per irrorare un grido da tramandare oltre le magre occasioni della terrena vicenda.
Il tutto in una scrittura apodittica, libera, asciutta, brillante, duttile che segue passo passo gli abbrivi emotivi ora dolci, ora pensierosi, ora meditativi, ora volitivi, diventandone ancella fedele, corpo rappresentativo. Una scrittura incalzante, che non dà respiro, senza pause, che tiene avvinto il lettore, anche perché, in questa avventura miracolosa e al contempo realistica, ognuno ritrova quella parte di sé da scoprire. Ed ognuno di noi gradirebbe fare un viaggio simile fra persone, ambienti, e intuizioni per soddisfare desideri ancestrali con lo scopo di prolungare i giorni in un memoriale ampio e generoso da donare al Bello, al racconto, al canto:
Vita, vita mia,
non ti consegnerò
domani a Morfeo.
Costi quel che costi.
Nazario Pardini
Franco Campegiani su Le ali della notte di Sonia Giovannetti:
Carissima Sonia, “le ali della notte" mi hanno stregato. Sono racconti sospesi tra mistero e realtà, facendone percepire la stretta interdipendenza, in funzione provvidenziale. Interiorità ed esteriorità si rincorrono perennemente tra di loro, ed è in questo reciproco cercarsi che si gioca la partita dell'armonia. Credo sia questo il cuore della tua poetica e della tua visione del mondo, che invita a prendere contatto con quanto di più elementare e profondo risiede nel gorgo interiore: quella sorgente di saggezza abbagliante, sempre pronta a guidarci verso i verdi pascoli, spesso da noi confusa con la spocchiosa coscienza che sempre discrimina, conducendo a sfracellarsi sui dirupi. Gli orizzonti della coscienza sono ristretti all'ambito razionale, mentre quelli della saggezza sono immensamente più ampi e travalicano i confini della ragione affondando negli sconfinati territori del mistero. Il grande richiamo del mare, che tu senti e racconti in pagine ricche di fascino, è qui. Il mare è, metaforicamente, il mistero, il gorgo profondo da cui la vita viene, l'abisso incomprensibile, ma sempre amorevole, che vuole la nostra felicità, liberandoci dalle pastoie e dagli steccati che noi stessi ci costruiamo nel piano della vita collettiva. Cara Sonia, è sempre e comunque di rinascita interiore che tu parli e scrivi; di un'umanità smarrita nei labirinti esistenziali, che gradatamente torna all'ovile di se stessa, nella propria armonia, nella propria semplicità. E qui mi piace citare il seguente passo dal libro: "Non capivo, allora, che non sono i ruoli a darci il senso della vita. Anzi, soprattutto quando non scelti, sono proprio i ruoli a impedircelo, a metterci addosso una divisa, un abito artefatto e uguale a tanti altri, una maschera che ci rende anonimi, inautentici, che ci estirpa l'anima... Ci vuole coraggio a uscire dai condizionamenti, bisogna sforzarsi. E il coraggio, ora posso dirlo, va trovato sempre. I malintesi vanno dissipati, le intenzioni dichiarate e così le aspettative, i desideri, il possibile e l'impossibile... Il mare ha una voce tutta sua, semplice da capire, che dice: " Ogni volta che arriva il giorno, mettiti davanti allo specchio, punta gli occhi nei tuoi e chiediti chi sei. Vedrai come è difficile mentirsi scrutando bene il proprio sguardo. Allora continua a guardarti e prendi in mano la tua vita. Tuffati nell'onda senza futuro che è la vita". Lo specchio, l'alter ego, la dualità. C'è sempre il rovescio della medaglia, in ogni situazione. C'è sempre un aldilà, e sta qui la salvezza, in questa possibilità di guardare il mondo da un'altra angolazione. Così il nero evoca il bianco, l'estate l'inverno, il maschile il femminile, e via dicendo. Così il bene ed il male si alternano, avvinghiandosi tra di loro, in un comune progetto di armonia. Esprimi molto bene questo concetto in quel racconto in cui inviti, per superare i traumi dolorosi, a guardare nel passato, alla ricerca delle cose belle che la vita ci ha comunque, e gratuitamente, dato in dono. Ecco la fede: una fede non fideistica, fondata sul plagio dell'"ipse dixit", ma costruita sulla propria macerazione interiore.E' la fede di chi - come te, Sonia - si aggrappa "fortemente alle parole di Todorov, alla poesia e alla bellezza del vivere, credendo che alcuni di noi, dentro, hanno un mondo che non si spegne e io lo so che, pur se a volte non c'è poesia nel mondo, negli incontri, nelle esperienze, ce la farò con altri - non pochi per fortuna - a cambiare e salvare qualcosa". Ma tutto questo senza proclami roboanti, perché "le persone belle ti attraversano con i loro silenzi e non si ha bisogno di parlare". "Una delle cose più rischiose tra due persone che non si vogliono capire è parlare", perché "le parole, come spesso accade, non sono fedeli alle intenzioni... mentre lo slancio che conta viene dalle cose che si sentono prima delle parole". "Il linguaggio non sa esprimere la Verità; ne è anzi una maschera, o un ostaggio". Per questo Wittgenstein ha detto: "Ciò di cui non si può essere certi, è meglio tacere". C'è tuttavia un altro tipo di linguaggio, quello della poesia, che è autentico e profondamente radicato nel vero: "Uso la parola per ascoltarmi, per viaggiare nel mio dentro e farlo uscire fuori, allo scoperto. La poesia diventa così il tempo interiore che riesce ad esprimersi... Si, la poesia ha bisogno di silenzio per nascere, per essere ascoltata". E una parola che nasca dal tacere del mondo, andando a pescare nelle acque del silenzio e del vuoto mentale, nomina per la prima volta il mondo, per cui non può non avere le caratteristiche del vero. Se dunque il tacere è figlio dell'incertezza, esso è anche padre della certezza che viene dal mistero e che a sua volta genera opere creative. Il vero artista crea nel silenzio della propria festa interiore. E giustamente tu dici che scrivere è "come fare un dolce e poi mangiarlo... Non è importante che qualcun altro legga il mio impasto. Mi basto in questi momenti, mi basta che rimanga nell'aria quello stesso ardore che dal forno si espande nella cucina. E poi, certo, dopo lo lascerò volare”.
Franco Campegiani
Roberto Mestrone su Le ali della notte di Sonia Giovannetti:
“Bizzarra la vita. Proprio quando si riesce a scorgere un lampo di luce nel buio dell'insipienza è già tempo d'andarsene” Da “Le ali della notte”. Promisi a Sonia, esattamente il 7 giugno di quest'anno, che avrei letto “Le ali della notte”assicurandole il modesto omaggio di un mio breve commento. Provo imbarazzo a farmi vivo oggi, che son trascorsi quasi quattro mesi da allora mentre lei, nell'arco ristretto di una settimana, è riuscita a realizzare un sogno... nel sogno. Anch'io ho sempre desiderato, durante gli anni della mia professione a tempo pieno, vivere concretamente un sogno, magari per un'ora soltanto: staccarmi, “con la scrittura, nella scrittura”, dalle sottili angherie di “una vita scandita dai ritmi uguali di un lavoro tra i numeri che non mi piaceva, ma che dovevo fare”. Questo libro è una sorta di viatico idoneo a far dimenticare, per sette lunghi giorni, tutti gli strumenti del mestiere, i gesti usuali e le maschere di ipocrisia che ci rendono schiavi di una vita incatenata al pilastro del conformismo pernicioso, subordinata ad astrusi dettami e leggi contorte eretti a difesa della libertà di tutti mentre, nella realtà, consolidano i privilegi di pochi e ci avvelenano l'esistenza. Sonia, già al preludio, pregusta il senso del suo onirico viaggio osservando, dalla finestra di casa, il “cornicione incatramato del palazzo di fronte”. E si riconosce nelle margherite che “nate in tante... si aprono al sole, irretite dall'ancestrale regola dell'alternanza della fine e dell'inizio, della morte e della nascita, del dolore e del piacere”: un angolo di terra contaminata che“ha decretato la propria sconfitta” facendo germogliare il seme della vita. Sì, perché meditando coscienziosamente sul Bene e sul Male, sempre presenti nel nostro percorso terreno, approdiamo ad una verità: entrambi ci arricchiscono, poiché anche la lieve o gravosa afflizione che ci attanaglia – rapportata al grande dolore di chi sta peggio di noi – “diviene un modo per riuscire a sentire l'anima vera del mondo”. In quello spazio“in sospensione”, con “una penna in mano... fogli sparsi accanto... un computer davanti e un posacenere colmo”, ci riesce persino facile colloquiare con il libro che si sta imbastendo: un “amico” capace di condurci via, con “ali di carta”, dal “labirinto dove tutto è uguale a se stesso, tutto si ripete all'infinito”... Adagiando i battiti del cuore sulle pagine del nostro fedele diario le fiamme degli affetti intriganti o delle dolci nostalgie rimangono accese, e quando “gli occhi cominciano a stancarsi e il tempo si accorcia”, le luci del prezioso passato, prodigo di consigli e custodito con cura dall'insonne memoria, ci aiutano a non lasciare al buio le “rotte della vita”. E scopriamo che“le stelle ci ascoltano” e sopportano anche i nostri ridicoli equivoci amorosi infondendoci dosi di saggezza dal sapore casereccio, o riafferriamo la freschezza delle pulsioni giovanili incontrando in piazza, “una sera di novembre”, la donna che, per prima, ci aprì l'uscio dell'appagante sessualità. In un susseguirsi di sensazioni vivide vengono esaltate immagini della natura portatrici di quiete interiore: cieli freschi e azzurri ci affrancano dalla “paranoica ripetizione dell'esistere”, mentre necessaria e salvifica è l'assidua presenza del mare! Il mare, specchio di un cielo che ognuno vorrebbe raggiungere ed esplorare, offre al naufrago sommerso dai flutti dell'esistenza la possibilità di “ritrovare quel se stesso che ha dimenticato” strappando alle onde, con bracciate vigorose, la libertà agognata “senza più dubbi, senza più zone d'ombra, senza nessun se e nessun ma”. E ci si riappropria della gioia di vivere, stando a galla sopra i misteri degli abissi. “Le ali della notte” serba, tra le pagine di racconti sospesi tra cosciente realtà e brillante fantasia, i versi di alcune suggestive liriche sbocciate in una “notte di veglia”, quando – tra i silenzi – si scopre “che c'è davvero un tempo per seminare e un altro per raccogliere”. Sì! La poesia! “Una luce che si accende in un determinato momento, per focalizzare e fermare l'emozione... … il tempo interiore che riesce ad esprimersi!” Sonia Giovannetti “vive di poesia”, ed anche nei lavori in prosa riesce a coltivare perle di sentimenti con la grazia del cantore in versi. Dipingendo quadri di autentico intimismo, si è accorta che “il tempo possedeva pennelli per colorare il giorno e matite per tratteggiare ogni ora di Luce”. Ecco la dedica di Sonia sulla 3ª pagina di “ Le ali della notte”, conservato nel cassetto delle mie emozioni: “ A Roberto Mestrone, che ringrazio , con stima e simpatia, per essersi accostato a questo libro; per aver anche accettato il mio piccolo contributo ad essere Insieme Per La Cultura “. 7/6/2014 Sonia Grazie a te, Sonia! Con “Le ali della notte” mi hai donato uno spicchio del tuo cuore!
Roberto Mestrone
Roberto Sarra su Le ali della notte di Sonia Giovannetti:
Cuore, sentimento, passione, questi gli ingredienti, il prezioso contenuto di "Le ali della notte" ultima opera di Sonia Giovannetti, autrice a tutto tondo, tanto amante dell'arte in generale da trasmettere come in un divino afflato emozioni e sensazioni catalizzate in un carosello di estro, classe e femminilità senza pari.XXXL'opera spazia dalla narrativa alla poesia, pensieri di un istante, attimi colti al volo, sottratti di soppiatto e trasformati magicamente in linfa vitale. L'autrice sfodera classe e talento in punta di penna, accompagnando il lettore in un caleidoscopio di colori senza fine.
Roberto Sarra
Claudio Fiorentini su Le ali della notte di Sonia Giovannetti:
Quando leggo un libro, più che concentrarmi su quello che c’è scritto, mi concentro su quello che mi dice. Così facendo, guidato da un tessuto ritmico di parole e silenzi, spesso vedo immagini nuove, e alcune di quelle che ho visto leggendo Le ali della notte tenterò di riprodurle qui. Quindi, immaginate una superficie liquida, contenuta in un recinto indefinito, si vedono i bordi ma non ci sono precipizi, forse non ci sono spiagge, semmai colline lontane. Immaginate questa superficie liscia, calma, il liquido potrebbe essere acqua, olio, chissà, ma è trasparente, riflette la luce, e questa superficie si vede, pur standoci dentro, forse nuotando, ma senza bracciate violente, accarezzando l’acqua, e senza andare giù, senza andare su: occorre nuotare piano e andare avanti verso l’orizzonte. Quindi siamo a galla, pancia in giù, e vediamo davanti a noi, dove le onde non ci sono, semmai ci sono delle leggere vibrazioni, come quelle che fanno tutt’intorno le gocce d’acqua quando cadono in un lago. Questo senso di innaturale calma, questo colore metallico dell’acqua e del cielo, perché non c’è sole, questo è il senso del linguaggio. Attenzione, non sto parlando di contenuti, non ancora. Leggendo questo libro mi sono prima focalizzato sulla musicalità e sul ritmo delle parole perché, per quanto lo si possa inquadrare nel genere “narrativa”, ha un suo carattere ben determinato che non gli permette di entrare in quel settore come semplice libro di narrativa. Infatti, si tratta di poesia fatta narrazione, versificazione desintetizzata, e non il contrario. Sonia è poetessa, come ben si vede leggendo questi racconti. Il linguaggio la fa da padrone, è lui la guida. E allora, lasciamoci guidare leggendo queste poesie narrate, e troviamo che anche il seme del racconto vuole la sua parte, infatti non è un elemento secondario. Ma se in un racconto si cercano la trama e la storia, qui occorre cercare lo specchio. Mi disse Sonia, quando mi diede il libro: “Mi sono messa a nudo”. E lo credo bene. Bisogna mettersi a nudo per scrivere, altrimenti il risultato sarebbe una patacca di quelle che possono aver forma e possono deliziare il lettore, ma … non toccano l’anima. E l’anima, spesso, la tocca il poeta più del narratore. Ora, le intenzioni di Sonia, nello scrivere questi racconti, sono chiare sin dalla prima pagina. E infatti lei è lì, senza sguardi costruiti a difenderla, senza corazze a proteggerla, senza vestito da sera, senza trucco, senza il suo sorriso affabile… ma con uno sguardo implorante, uno sguardo fragile, uno sguardo bambino, infantile, vergine… ecco la parola giusta: è uno sguardo vergine quello che si scorge all’inizio del libro, di quegli sguardi pieni di stupore e curiosità, privi di pretese e di aspettative, ma spudoratamente vivi, fino alla fine. Una volta trovata questa versione di Sonia, occorre trovare lo specchio dove l’anima si guarda, e invece di restituirci l’immagine della scrittrice, questo specchio ci restituisce l’immagine delle nostre maschere. Infatti, non vedo l’anima, ma riconosco la maschera, e posso sapere che non posso affondare nell’abisso della paura, non posso volare sopra ogni superficie, posso solo nuotare, riconoscere il sopra dal sotto, immergermi poco poco, solo un istante, per tornare subito su, ché il tramonto, all’orizzonte, sta colorando le nuvole dopo una giornata grigia. Quindi abbiamo un libro di racconti, ma più che racconti sono riflessioni, e dire specchio e superficie liquida risulta più che mai appropriato. Queste riflessioni (riflettere -> riflesso -> specchio) vorrebbero accompagnarci senza strafare, indurci, senza chiederci di sforzarci, a dire la nostra. Questo non è un libro che sfonda le porte, non contiene la dirompenza di un thriller, la complicazione di un giallo, l’intrigo di un meta-libro, la battaglia di un fantasy, l’illuminazione di una poesia o la noia di un trattato di araldica. Questo libro contiene la virtù della contemplazione, la dolcezza di una mano che ti prende il braccio e, con estrema delicatezza, ti spinge ad andare avanti rimanendo al tuo fianco, senza andar via, con quel moto tipicamente femminile che fa di una donna una mamma, una moglie, un’amica e una complice, che fa sentire all’uomo quanto sia diverso l’universo femminile. Quindi è un libro molto femminile: costante, leale, ritmico, quasi cardiaco, e musicale. Ma oltre questo mistero magico, che avvolge il contenuto, c’è il contenuto. E senza svelare nulla di ciò che qui è scritto, vorrei solo affondare nel piacere della lettura di qualche passaggio: “Penso alle tante volte che ho guardato, volente o nolente, i rivoli putridi del fare insensato, ascoltato il vociare volgare del luogo comune, dell’ignoranza irrimediabile, a volte mascherata da sapere, profusa generosamente dai cosiddetti esperti o dai tecnocrati malati di delirio di onnipotenza”. Così descrive l’ambiente di lavoro, quel fare insensato costellato di un vociare pieno di luoghi comuni, e poi ci si ritrova a bere un caffè scadente davanti a una inconscia macchinetta messa in un androne scomodo e lurido, dove si rigenera la testa, si svuota il cervello per tornare, dopo cinque minuti scarsamente vissuti, a risolvere grane davanti a un computer rutilante. Eppure, anche in tale squallore c’è poesia, c’è la capacità di volare. Altro esempio. “È sufficiente, affinché il matrimonio si celebri, che un detentore di potere, tanto agile nelle sue acque quanto imbelle alla vista di un paio di gambe generosamente offerte, incroci l’appariscente donzella e il destino è finalmente compiuto”. Si tratta del connubio tra fascino e potere che corrompe il potere, l’uso del richiamo erotico che sovverte il potere, la bellezza in tutte le sue forme, la bellezza senz’anima, quella che rimane in superficie e non affonda le radici nella terra dei sentimenti: “Le nobili idee, i grandi sacrifici profusi per la causa, le solenni promesse di mai cedere al nepotismo o ad altra forma di concessione privilegiata cantano il magnificat alla cerimonia”. Quindi quella truce sensazione che assale chi ha rinnegato, anche solo per un attimo, valori ed educazione, trasformandosi in peste contaminante di ambienti che implorano pulizia e trasparenza. “Continuavo a ripetermi, mentre i miei passi mi portavano lontano, che una delle cose più rischiose tra due persone che non si vogliono capire è parlare. Sì, parlare. Ma le parole, come spesso accade, non sono fedeli alle intenzioni”. Verità dolorosa, ma mai triste, semmai irrimediabile, e le parole sono nodi che si sovrappongono, a meno che le due persone che si parlano non abbiano già da prima l’intenzione di capire l’altro. Ma l’intenzione di capire è già capire, e allora sono inutili le parole anche quando ci si vuole capire, ma almeno lì non sono nodi che si intrecciano. Ma allora, a che serve parlare? A complicare le cose? A volte è così. “Soprattutto in questi casi, il linguaggio non sa esprimere la verità: ne è anzi la maschera o un ostaggio”. Profonda osservazione, il linguaggio è la maschera della verità, oppure ne è l’ostaggio. E allora, come fare per esprimere o esprimersi? Sonia tocca molti temi: il lavoro, l’amore, la fuga, la ricerca dell’io… in tutti c’è una parte di noi, ma non è una pietra che ci si piazza davanti con violenta imposizione, semmai una mano che ci accompagna a guardarci allo specchio senza forzarci a farlo. “Non ho escluso i ricordi, ma ne estraggo dalla memoria solo quelli che voglio e li accarezzo col pensiero, perché tutto lascia traccia. E so usare la gomma da cancellare per quelli che non voglio, mentre mi impegno a cercare un varco per la felicità. Non ho detto trovare, ho detto cercare. E tanto basta per avere speranza”. Ecco un’autrice che si è messa a nudo, ma non perché noi la si guardi e basta, semmai per dirci “guarda, non è tanto difficile: si può fare” e se noi, riluttanti, non ci lasciamo coinvolgere, non sgorgherà dal libro una mano pelosa che ci tirerà per la collottola, semmai riapparirà l’autrice dicendo “vedi un po’ te”.
Claudio Fiorentini
Maria Rizzi su Le ali della notte di Sonia Giovannetti
Ti ho letto, Sonia mia.... E mi sono resa conto di essere arrivata in tempo. Qualcosa mi diceva che stavo perdendo un libro importante, che mi avrebbe segnata. Innanzitutto tengo a dirti che sulla base della conoscenza, purtroppo non profonda che ho di te, posso asserire che "Le ali della notte" è specchio fedele del tuo essere. Sei in ogni pagina, in ogni rigo, ti 'ho vista' , ti 'ho sentita' ti 'ho vissuta'! Le prime note di questo testo - melodia sono già in assoluta sintonia con la mia anima: la casa sul mare, il respiro inarrestabile della risacca, che rende il paesaggio dell'esistenza qualcosa da rispettare e da battezzare quotidianamente in stato di magico surplace. "Uomo libero, amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio / contempli la tua anima nello svolgersi infinito della sua onda..." recitava C. Baudelaire e tu reciti in tono sommesso un canto simile. Un diario del sereno ritrovarti con te stessa, con la libertà che ambivi, con la scrittura, solo nella casa dinanzi a quell'infinito, miracoloso mistero, che ci rende liberi, almeno in apparenza... Il testo è giocato su un registro pacato e ricco di autentico incanto al tempo stesso. Sui ricordi, malinconici, dolci e nostalgici e sull'invectio, che in virtù di uno stile lento, caldo, avvolgente, oserei dire nord - americano, porge storie autobiografiche e vicende di violenza, follia, solitudine, paura, con la stessa mirabile grazia. In ogni storia v'è una scelta. Ed è sempre la stessa. Quella di non tradire la sola vita che ci viene concessa svendendola al mercato delle pochezze, delle ipocrisie, della miseria interiore. Il tempo, grande protagonista del testo, scandisce i giorni, le occasioni, ma anche i singoli momenti delle vite e chiedi a te stessa e ai lettori di rallentare i ritmi, di provare ad assaporare le piccole felicità con la stessa pigra dolcezza con la quale si mesce e si sorseggia il vino nella coppa... Sul sentiero del tempo hai visto molto, come tanti, hai frequentato la scuola dura dell'esistenza e sei giunta alla soglia della maturità con il dono di una pietas che disarma, induce a riflettere e a mettersi in discussione. L'infanzia di luce e amore, i riti con tuo padre nei campi, celebrando la poesia e la fatica della cultura contadina, le esperienze personali, accennate con raffinata delicatezza, sembrano averti disvelato la chiave d'accesso alla vita, all'arte, all'amore, inteso nell'accezione universale. Leggendoti ho riascoltato gli echi di un libro che convinse il mondo: "E venne chiamata due cuori" , della giornalista americana Marlo Morgan. Dopo aver trascorso tre mesi nella foresta australiana per studiare la vita di una tribù di aborigeni australiani in via d'estinzione, nacque ad altri valori, si accorse di quanto erano più civili gli aborigeni dei suoi compatrioti. Imparò a non legarsi alle cose materiali, a non provare sentimenti negativi, a non competere, a non essere falsa e prima di abbandonare i suoi amici venne soprannominata 'due cuori', perché aveva ereditato di diritto anche il loro modo di concepire la vita. Tu, senza aver attraversato foreste, senza aver preso lezioni, sei la donna che sa sorridere, convincere, stupire con la sua levità e il suo candore. E quanto lirismo nel tuo dipingere paesaggi, ricordi, persone... Quanta sanità in ogni sogno e in ogni dramma! Grazie per questa meravigliosa lezione di letteratura e di vita, Sonia... Ora so che le pagine della tua anima devo sfogliarle con pudore. Devo stare attenta a non ferirti e ad amarti senza fronzoli. Sei la donna che ho sempre desiderato essere! Grazie!
Maria Rizzi
Massimo Chiacchiararelli su Le ali della notte di Sonia Giovannetti:
Io penso che ogni volta ci troviamo di fronte all'uscita di un libro di narrativa, dovremmo essere più attenti nell'esaminarlo, in quanto, pur se le vicende descritte potrebbero ricondursi a quelle naturali che ciascuno di noi vive giorno per giorno e, quindi, assumere l'aspetto della banalità, c'è da considerare che per lo scrittore è un atto di coraggio mettere a nudo la personalità del suo spirito osservativo. Per lui la parola diventa, infatti, un atto terapeutico e di psicoanalisi, di riflessione sui misteri della vita, di ricerca di soluzioni ai tanti perché ed agli accadimenti che ci accompagnano nel nostro peregrinare terreno. E' da tenere ben presente che qualsiasi tipo di libro, comunque, non è mai sogno, ma meditazione e catarsi, perché l'uso della parola per la parola, in fondo, genera sempre arte e, lasciatemelo dire, anche un po' di poesia. Conferma a questa mia considerazione ci viene dalla stessa Sonia Giovannetti, quando dice: "Scrivere mi porta dove non c'è niente di quello che invadeva il mio tempo. E ogni volta che prendo una penna in mano nasco di nuovo, con le parole che escono da me./...Quando scrivo assorbo tutto.../ imposto elementi polverosi e liquidi, sprofondo le mani in quel collante che resta addosso e diventa il risultato di emozioni e sensazioni.../ Non è importante che qualcun altro legga il mio impasto...mi basta che rimanga nell'aria...e poi, certo, dopo lo lascerò volare." Ma per volare ci vogliono le ali e Sonia, grazie a Morfeo e un suo sortilegio, per una settimana si ritrova a vivere la vita che ha sempre sognato, con "LE ALI DELLA NOTTE". E' un'occasione troppo ghiotta che la nostra autrice non può lasciarsi sfuggire e così, nella consapevolezza che "trattiamo il tempo come se ne avessimo a disposizione all'infinito, dunque come se fossimo eterni", cerca di catturarne ogni attimo, focalizzando tutto ciò che le ruota intorno per frantumarlo al microscopio del suo spirito osservativo, ma ricorrendo anche a dei flash-back di vita vissuta per mettere a nudo le sensazioni scaturenti dalle lacerazioni dell'Io, dalle angosce dell'animo, dai problemi esistenziali, in una prosa libera che, come il tempo, muta e scandisce i sentimenti dell'autrice di fronte all'approfondito esame psicologico che la stessa fa della vita. Il libro, costituito da una serie di racconti, diverse poesie e una lettera, rappresenta un grido di allarme e dolore per l'umanità, la quale, inseguendo assurde chimere, inevitabilmente dissolte nel vento della realtà, ha smarrito il proprio cammino in un deserto arido che mette a nudo le incertezze, le difficoltà del vivere, dell'essere, del decidere ed il groviglio delle ansie che si agitano perennemente nell'uomo, soprattutto oggi che è diventato un lupo solitario. E questo deserto non si identifica nel lucido razionalismo della realtà, né tanto meno nella realtà del razionale, ma nell'aridità delle coscienze incapaci di superare lo sfrenato egocentrismo e di trovare una collocazione più universale, vivificata da una Fede, intesa non necessariamente in senso religioso, che, nel trascendere l'uomo, dà al tempo stesso ragione della sua esistenza e della sopravvivenza al limitato arco della vita. L'Autrice è al tempo stesso poetessa e pittrice, perché conosce bene le voci ed i colori della natura, i segreti dei sentimenti e le ragioni del mutismo abissale dell'animo. Il suo pennello, in un gioco di contrasti e dissolvenze, canta l'intimo e profondo dolore esistenziale dell'uomo perennemente proteso ad interrogarsi sul cordone ombelicale che spiritualmente, ma anche in modo integrale e totale, lo unisce alla vita, al mistero dell'infinito, dell'assoluto ed alla ricerca della verità. Sonia risulta impegnata nelle tematiche più serie della vita di tutti i giorni con la rappresentazione soggettiva ed oggettiva del proprio cosmo emozionale, al fine ultimo di indagare ed interiorizzare la propria spiritualità nella dinamicità dello spazio, ma sempre e comunque a beneficio dei propri simili. Ed in tal senso, ha scagliato nello spazio letterario il suo boomerang con la potenza indicibile di chi si sente irrimediabilmente adulterato e avvelenato da nevrosi esiziali di animi artefatti, egoisti e solitari e, quindi, prossimo alla fine. La forza della disperazione di chi vuole ritrovare se stesso per salvarsi e salvare l'umanità!
Massimo Chiacchiararelli
Natale Luzzagni su Le ali della notte di Sonia Giovannetti
Spesso gli autori che passano dallo poesia alla narrativa si “portano dietro”, con estrema naturalezza, la capacità di una scrittura “emotiva”. Un gesto istintivo, necessario, che per altri è più faticoso costruire. Le ali della notte è un diario, ricco di riflessioni, racconti, memorie, poesie e citazioni. È un “atto liberatorio”, la possibilità “vitale” di prendersi del tempo per sé. “Scrivere mi porta dove non c’è niente” precisa l’autrice in questo percorso zen in cui la scrittura “assorbe tutto”. È contemporaneamente memoria, emozione e desiderio di assenza.
“Le parole che escono dalla mia mente somigliano a monete cadute da scrigni nascosti”. Il tempo per sé è un momento in cui tutto è possibile. Appena viene aperta la scatola su cui poggia una sensazione istintiva, se ne sprigionano altre, impreviste, sottaciute, covate, durevoli. La necessità che sottende questo atto di libertà fondamentale ha la forma di una esigenza comune: sottrarsi ai doveri, all’abitudine, ai bisogni indotti e abbandonarsi al mare, al suo invito a “non essere”. Non vuol dire essere assenti, anzi. Significa essere totalmente presenti, aderire all’intimità della propria natura. Per quanto possa apparire faticoso e sconveniente, la liberazione richiede di sapere andarsene, volare via, assentarsi, non voltarsi. Il racconto richiede la memoria, un percorso nel passato, una passeggiata necessaria nel vissuto. Ma ogni sosta su ciò che è stato è solo un sano pretesto per “lasciarsi tutto alle spalle” e ricominciare a vivere. Questo è il valore di un diario: annotare, ma per ricordare che ci sono nuove stagioni da vivere, occasioni immancabili per sorprendersi e gustarsi l’incanto. Il diario di Sonia è uno luogo di libertà concesso per una sola settimana. È un pretesto per centellinare e sorseggiare il proprio mondo emotivo senza condizioni e senza frenesie. Trovano spazio personaggi, scene familiari, luoghi, momenti indimenticabili, dialoghi e tramonti viola che sembrano togliere il respiro. Galleggiano sulle acque di una malinconia cosciente. Ma non sono più un ostacolo, un’ossessione, la scusa per una rinuncia. Sono presenze che aprono a sensazioni nuove. “Come si vivrebbe se pensassimo che il nostro tempo prima o poi finisce?” si chiede l’autrice suggerendo già una risposta inequivocabile. Si avrebbe il coraggio di prendere treni al volo, di licenziare il distacco con l’ironia, di abbandonare i fraintendimenti per una voce senza indugi. E, soprattutto, c’è un maledetto bisogno di aspettare la pioggia e la malinconia per cavalcarle d’istinto e farsi condurre al mare. Questa sorta di “licenza” settimanale è il pretesto per ricordare a se stessi la necessità di non rinunciare alla libertà grazie alla quale sappiamo riconciliarci con il gusto per l’immediato. È il tempo speso cogliendo il senso del transitorio rispetto all’essenziale. È un momento in cui, come suggeriva Sandro Penna, sappiamo convivere con il mare che urla dentro di noi mentre tutto appare calmo. “Le persone sono belle quando ti attraversano con i loro silenzi”. Hai ragione, Sonia. Ed io, adesso, taccio incantato.
Natale Luzzagni (da La Nuova Tribuna Letteraria, n°115)

TEMPO VUOTO - Edizioni Tracce
Già vincitore come silloge inedita del Premio Scriveredonna dell’Editore Tracce.
Profilo critico della Giuria al Premio Scriveredonna 2012 (Maria Luisa Spaziani (Presidente), Marcia Theophilo, Anna Maria Giancarli, Nicoletta di Gregorio)
La silloge dal titolo “Tempo vuoto” manifesta una scrittu¬ra poetica intensa e suggestiva, che compone immagini e musicalità in un testo unitario e ricco di sfumature espres¬sive. L’attualità della ricerca espressiva si confronta con le problematiche esistenziali, che pur nell’essenzialità del testo debordano nella dimensione simbolica. L’Autrice sembra quasi confrontarsi con le domande fi¬losofiche sul senso dell’esistere e sull’esigenza di un con¬fronto con l’Altro, che tornano costantemente anche in una prospettiva sociale. Come sostiene l’autrice “Ho ascoltato i frammenti del vive¬re. […] Ho raccontato l’ingiustizia. […] … Nel mio “Tem¬po vuoto” ho amato la vita, ascoltando il suo silenzio”.
Nazario Pardini su “Tempo vuoto” di Sonia Giovannetti:
È il tempo della poesia un tempo reinventato
Amo l’aria tersa che si respira vicino alle cime innevate o calve che siano.
Mi appassiona l’aria trasparente di quelle altezze. Posso guardare l’insieme delle piccole cose finite e l’infinito dello spazio.
Un’arrampicata verso lo spazio etereo, vicino alle cime innevate o calve dalle quali l’occhio e l’anima della poetessa possano aprirsi ad orizzonti vasti e luminosi per ovviare alle aggressioni del tempo e del luogo. D’altronde la poetessa afferma: “… È il tempo della poesia un tempo reinventato di cui il poeta ha bisogno per costruire paesaggi, dimensioni, luci, significati che egli mette insieme in un nuovo orizzonte di senso. In quello che, finalmente - direbbe Proust - è un tempo ritrovato, e perciò amico”. Una spinta verso la libertà, un’apertura verso l’infinito per sottrarsi alle ristrettezze a cui è vincolato il nostro essere terreni. Sta qui l’elevazione spirituale, quasi ascetica di Sonia, in questo afflato di echi e sussurri oltre la grezza materia:
Finestra aperta su un universo da assaporare, da ascoltare nei suoi echi e sussurri, nei suoi richiami che superano la grezza materia elevando lo spirito, a che non resti a terra per sempre.
(Tra queste alture)
pur partendo sempre da una realtà, da una verità, che, contemplate dall’alto, ci offrono una visione ariostea del mondo, rimpicciolita, ma non tanto da non offendere, con le brutture sociali e con le aporie disumane, la sensibilità della Nostra:
Non sparare, non sparare alla vita. […] Intreccia le mani in un girotondo attorno al fuoco della pace. Fai ardere la passione di ogni puntino di luce che attende dietro la porta del futuro. […] Ascoltami uomo.
(Un’unica città)
Ma in Sonia prevale su tutto la voglia di ricerca, l’urgenza di scoprire la parte di sé a lei sconosciuta. E si sa che l’animo umano tende al di là del circuito stretto in cui il nostro vivere è circoscritto. Da qui l’azzardo oltre il limen, oltre la siepe che traccia la chiusura del nostro esserci. Un volo verso l’infinito dello spazio, verso quella pluralità che ci completi, verso quella totalità da cui veniamo e verso cui aspiriamo. Una completezza di difficile portata e assai improbabile da raggiungere, dato che siamo destinati, noi mortali, ad una miopia congenita, per cui il nostro sguardo non può superare orizzonti prestabiliti. Forse è la poesia il tramite secondo il quale l’Autrice può ambire a vincere la caducità del tempo e rendere il presente perpetuamente afferrabile in uno abbrivo verso ambiti sublimati, al di fuori e al di sopra dell’hinc e del nunc; dell’ “aria vacua e sospesa/ di chi non ama/ chiusa da catene/ ignara della vita.”, per perdersi nell’“aria trasparente/ di quelle altezze”. Un messaggio fortemente umano quello che esce da questa silloge, un messaggio che arriva a noi tutti per la sua forza esistenziale. C’è l’amore, c’è la coscienza della precarietà della vita, quella di una Bellezza verso cui la Nostra aspira con tutta la sua energia creativa; c’è “l’amore per quel tempo vuoto/ pieno di un nulla affollato di cose,/ di quelle che ho perdute/ e che non mi perdonano/ di quelle che non ho ancora avuto/ e che non posso perdonare”;c’è il memoriale con tutta la sua forza rievocativa; c’è la solitudine, quella di un mondo che non si ritrova; c’è la fuga e l’ansia del ritorno (sarebbe bello riavvolgere il nastro./ Ritornare al prima); c’è il viaggio di ogni giorno, in cui “Tu viaggi con me/…/ Corri sui miei pensieri,/…/ Porti il mio cuore nell’aria./ Cellula dissolta nello spazio/ Che perde luogo e tempo.”; c’è il sogno; e c’è la Poesia, sì, quella maiuscola, quella a cui la scrittrice offre tutta se stessa, perché sa che è l’unica cosa a non tradirla, ed è a lei che affida il suo messaggio vicissitudinale; lo fa colle onde del mare convinta che in ogni momento ed in ogni luogo possa riemergere per favorire la Bellezza del mondo, “Per non morire/ nel frastuono./ Per vivere d’amore.”. Un messaggio di sapore foscoliano, che tende a vincere il caduco con l’energia polisemica dell’arte. Un messaggio che si renda eterno come eterno vuole che sia il suo canto:
Quando spingo l’altalena che mi fa arrivare più vicina alla luna so che la poesia è libero volo. Ha le ali grandi e forti. E’ salvezza.
(Il mio volo)
Un libero volo che si traduce in aspirazione alla totalità e che si fa alimento dello scandalo delle contraddizioni; dell’ossimorica e perpetua diatriba fra ciò che non è più e quello che è stato. Fra il contingente temporale e l’avventura verso la luna, fra il buio e il ritorno ad antiche primavere “quando tutto sembrava eterno/ e ogni sorriso cullava il cuore./ Quando lo scatto del vivere/ aveva ancora lo scintillio del domani.”. Ed è qui la vita, in questa simbiotica fusione fra il bello e il brutto, fra il male e il bene, fra la realtà e il ricordo: un memoriale che riporta foto tanto soffici da edenico riposo, da nirvana che spesso è il risultato di una realtà riveduta e trasformata. Lievitata dentro noi dopo una lunga macerazione. Dopo un esistere che potrebbe pur sempre approdare ad un’Itaca lontana e vicina; determinata ed indeterminata; brumosa o lucente; ma che la poetessa porta in seno, perché aspirazione al completamento, a quella fusione empatica di cui il mare rappresenta il simbolo più visivo; una pace mai raggiungibile non tanto per questioni geografiche quanto per inquietudini interiori; per quelle conflittualità che alimentano la sua storia:
Io lo so cosa vuol dire avere un’Itaca.
E’ una pace che non riesco mai a trovare.
La cerco, eppure resto sempre sul bordo del mare.
Metà del mio spirito si inclina sulle onde per partire. Metà si ritrae per restare.
In mezzo il mio io che non sa scegliere.
Itaca, mio sogno certo.
(Itaca)
Un sogno che tutti abbiamo nascosto nello scrigno più segreto della nostra anima; il sogno della vita, che, in definitiva, rappresenta la vita stessa fatta di fughe e ritorni; o meglio tentativi verso mète liberatorie spesso annullati dalle profondità delle nostre radici. Una poesia totale quella della Nostra, che tocca, con la sua polisemica significanza, tutti i tasti dell’umano vivere. E lo fa con una voce chiara e genuina senza tanti ricorsi a costrutti retorici, a allusioni simbolico-iperboliche, o a figure stilistiche di complicata lettura. Tutto scorre con gentilezza e armonia, con forza attrattiva e generosità esplorativa. Un linguismo naturale che, con alternanze di misure brevi (monosillabe, trisillabe, quadrisillabe) a versi di più ampia stesura, forma uno spartito da melodia lirica. Uno spartito che col suo variare cerca di farsi tatuaggio, amico schietto e fedele di una tale potenzialità interiore da lasciare di stucco. Ed è questo abbraccio che convince. Questo avvinghiarsi del verbo ai subbugli creativi. Alle vertigini emotivo-sensoriali di cui la Nostra è capace. Subbugli e vertigini che nascono da un sapore di esistere consegnato a una parola portata lontano dal vento:
Se veramente fosse possibile raggiungerei l’ascolto m’impegnerei a lanciare la parola. E farla portare dal vento. Lontano.
Farla scendere ad ogni stazione. Appoggiarla e vestirla di senso. Ma certi viaggi sono lunghi.
(Canto di vita)
Sì, la parola. E sembra che la poetessa sappia che la parola è uno strumento umano, tanto umano da non poter seguire pienamente i voli spaziali dello spirito. L’una è una creazione terrena, l’altro è qualcosa di superlativo, e inarrivabile, tutto vòlto a raggiungere gli slarghi azzurri del Cielo. Da ciò la ricerca lessico-fonica della Nostra. Una ricerca attenta e instancabile per forgiare innesti e sintagmi adatti a concretizzare l’ondulazione di un sentire cullato da un canto che dia senso a una storia:
Basterebbe una melodia ad accompagnare il mio sogno. Un suono che non mi facesse sentire la solitudine del mondo. Solo con il canto potrei dare un senso al mio volo(Senza ali),
magari in un luogo incantato:
C’è un luogo incantato dove ci incontriamo. Ho metà del corpo da portare. E tu, l’altra parte che manca. […] Solo lì siamo quell’insieme che diventa uno. Senza ruote che ci trasportino. Senza l’affanno di non sapere il perché.
(Noi insieme, come tutti)
magari nelle ampie distese dei campi accompagnate da note di una canzone ballata col suo lui:
Ti ho cercato nelle ampie distese dei campi, […] Ti ho aspettato. […] Ti ho trovato. […] E’ andare avanti, avanti, avanti. E’ sapere quanta speranza resta ora che vedo in un raggio di sole, ora che il tempo ha il tuo nome e le note di una canzone che ballo con te.
(Musica del cuore)
o magari nella grande avventura dell’esistenza:
E la luce si accende, in questa grande avventura che è la vita a cui vado incontro.
(Tra queste alture)
Ma è il mare che in definitiva visualizza la grande espansione della spiritualità di queste poesie. Quel mare che da sempre ha significato l’aspirazione all’infinito dell’animo umano. Ed è proprio qui il nocciolo tematico di Sonia Giovannetti: in questa aspirazione che coinvolge il tempo, l’amore, il canto, la solitudine, la memoria, la quiete:
Nel mondo ci vorrebbe quel fiume che conduce al mare.
(Attesa di un fiume)
Mentre scorre il sole sulla terra alla notte quieta torno, ritrovando il mare. Seppur da sola vago (La mia pace),
che coinvolge la vita:
Amerò, semplicemente.
Sceglierò la vita, ricordandoti
(Un ricordo).
Nazario Pardini
Franco Campegiani: La musica interiore di Sonia Giovannetti
"Ciò di cui non si può essere certi, è meglio tacere". Il monito di Wittgenstein viene comunemente inteso in senso antimetafisico, ma rappresenta in realtà un vero e proprio passaporto per viaggiare in territori estranei al chiacchiericcio mondano. Tacere, ovvero coltivare il silenzio, è la regola aurea per acquisire vere conoscenze. La fede è una conquista interiore, cosa ben diversa dal fideismo urlato sul piano storico sociale. Sonia Giovannetti, dedita all'"ascolto dell'Essere", dà vita ad una poesia di conoscenza che nasce e si evolve nei territori del silenzio. Come tale, è asciutta e senza fronzoli, priva di elementi gratuiti ed arbitrari, con una parola scarna ed essenziale che scaturisce dalla patria interiore come lo scroscio del giorno dal cuore della notte. O dell'acqua da una polla montana. La poetessa, indubbiamente adusa alla meditazione e al vuoto mentale (in modi del tutto autonomi e senza seguire scuole di pensiero), sa per diretta esperienza che è questa l'origine della parola. In "Canto di vita" - una poesia sulla poesia- dice apertamente che le parole che arrivano dal silenzio sono "tesori di vita conquistata" e, come tali, non possono essere sbandierate ai quattro venti, perché non verrebbero comprese: "se veramente fosse possibile / raggiungere l'ascolto / m'impegnerei a lanciare la parola. / ... / Ma certi viaggi sono lunghi", ed il fruitore deve impegnarsi attivamente nell'ascolto, non passivamente, restandone plagiato. Affinché la parola resti viva, si devono compiere gli stessi viaggi nei territori del silenzio da cui essa è nata. Altrimenti muore nel "così si dice" del convenzionalismo collettivo. In "Aria chiara", la poetessa manifesta il suo disagio per le arie nebbiose e squallide delle "anime perse / negli inganni del vivere". E dichiara il suo desiderio d'infinito, il suo bisogno di cieli tersi, di vette immacolate e pure, la sua ansia di essere ciò che veramente è nell'Essere, in assoluta libertà, al di là di ogni maschera, unendosi alle armonie del cosmo e del creato. Un traguardo, una pace - confessa poi in "Itaca" - "che non riesco / mai a trovare". Ma non per questo desiste, perché sa bene - come lo sa Ulisse - che la meta non è una chimera. Tutto parte dalle Origini e tutto alle Origini deve tornare. Il viaggio è infinito, perché parte dall'infinito e torna all'infinito: "Il sentiero che ho davanti / promette di essere questo infinito ritorno / lì dove tutto è cominciato" ("Il Sentiero"). E: "è forse altro la vita / se non un viaggio nella memoria?". Il futuro, per questo, non è che un ritorno verso il passato. Franco Campegiani
Umberto Messia su Tempo vuoto
Cara Sonia, nei tuoi versi è tangibile uno slancio, una tensione, una ricerca di un altro da sé, come se il proprio corpo e la propria mente, il proprio cervello biologico e la propria coscienza, fatta non solo di bruta chimica ma di emozione e passione e ricerca, desiderassero divorziare e prendere ciascuno la propria via, quella del limite, del finito, del corporeo da una parte e quella dell'infinito, del viandante, dello slegamento dall'altra. Eppure sai che queste due facce non sanno né possono né vogliono recidersi, perché hanno una fusione ombelicale, sono necessarie l'una all'altra, si nutrono l'una dell'altra in una comunicazione osmotica perenne che poi dà luogo alla tua poesia. Non potresti scrivere quello che scrivi se tu non abitassi contemporaneamente due case: "...non mi piace l'aria nebbiosa..." perché nasconde "...gli inganni del vivere..." "...amo l'aria tersa..." perché ti consente "...di guardare le piccole cose finite e l'infinito dello spazio..." "...il sentiero che ho davanti promette di essere questo infinito ritorno, là dove tutto è cominciato..." Vorresti "...lanciare la parola..." per "...far raggiungere l'ascolto..." e "...spezzare il silenzio..." In questi versi leggo la dualità del vivere e dell'essere, che poco si amano eppure sono legati, che non si parlano eppure si ascoltano, che sembrano fermi eppure viaggiano assieme. Dove questa dualità si sublima è però in Itaca : "...metà del mio spirito si inclina sulle onde per partire, metà si ritrae per restare. In mezzo il mio Io che non sa scegliere..." Itaca è il tuo "...sogno certo...", il tuo amnios, il tuo equilibrio instabile che genera la tua poesia. E’ il cammino il tuo sogno certo, la tua Itaca? E' il cammino la sintesi del tuo spirito che si inclina e si ritrae? E' il cammino che ti permette di distinguere ovvero di fondere il finito e l'infinito? E se cosi fosse, sei certa che il tuo ego se ne sta nel mezzo perché non sa scegliere? O forse se ne sta nel mezzo perché ha già scelto: ha scelto di leggere il mondo nella sua molteplicità, ha scelto di abitare il multiverso o se vuoi le due case, ha scelto il silenzio perché genera la parola e questa l'ascolto, ha scelto insomma la dualità, che sta nel mezzo, perché il solo silenzio è sterile, la sola parola può essere assordante, l'ascolto e l'essere ascoltati sono confortanti, ... Le limitazioni, i confini, le sottomissioni, prevalgono lì dove prevale il solo corpo o la sola mente, ma dove questi, pur rimanendo identitari, collaborino ad una visione d'insieme del mondo, davvero si possono aprire le porte dell'infinito. Io credo che tu la tua Itaca l'abbia già trovata, è carne della tua carne e tuo spirito, Itaca è il tuo cammino non la tua meta, è dentro di te ma non puoi possederla (e questo ti cruccia) perché ti nasconderà sempre qualcosa per cui valga la pena iniziare ' un altro giro di giostra ', Itaca è tua dannazione e tua 'Musa'. Umberto Messia
- Natale Luzzagni su Tempo vuoto di Sonia Giovannetti Raramente esprimo pubblicamente giudizi critici sulla poesia. Un po’ come quando, uscendo dal cinema, evito di definire le sensazioni che ancora cercano una collocazione dentro di me. Non so se si tratti di una forma di “riguardo” verso il mondo emotivo altrui. Qualcuno ha scritto che la critica è un insufficiente commento alla poesia e la poesia un insufficiente commento alla vita. Ma, per una volta, mi voglio concedere un ingresso nel mondo “intimo” di qualcuno. In punta di piedi. Con l’accortezza di procedere con tutte le attenzioni del caso. Lo faccio per Tempo vuoto, raccolta di poesie di Sonia Giovannetti con il quale ha vinto il posto d’onore al Premio Scriveredonna 2012 delle Edizioni Tracce. Solitamente a questo punto si elencano note biografiche e pubblicazioni precedenti. Lascio a voi scoprirlo ed “entro” subito nella fragranza di questo volume. Innanzitutto per premiare l’autenticità del gesto poetico. Intendo l’atto più semplice, quello per cui ci si pone di fronte al reale per viaggiare con la mente e con le parole, senza avere alcuna remora, alcun pudore. È l’umiltà di farsi piccoli, fragili e leggeri, ma anche la ferma certezza di essere figli delle proprie emozioni. Sonia Giovannetti chiarisce subito cos’è il suo tempo vuoto. È l’angolo silenzioso da cui tutto si genera. È un giaciglio privilegiato da cui vedere, ascoltare, lasciare fluire. E, come nella migliore forma di meditazione, non c’è paura di porsi davanti al dolore o di avvertire la lacerazione che i contrasti sanno produrre. C’è la fede assoluta in un’innata capacità di lasciare che ogni conflitto si dipani e si sciolga in rivelazione vitale. “Amo questo tempo vuoto / pieno di un nulla affollato di cose” scrive Sonia Giovannetti, ponendosi davanti a quel mare che magicamente sa evocare grandezze sconfinate e, contemporaneamente, sintetizzarle in una pura linea di orizzonte. C’è voglia di verità, ma anche l’attesa paziente, necessaria per sfiorarla. Non c’è timore per le nebbie che ottenebrano la luce. “Non mi piace l’aria nebbiosa / …/ Amo l’aria tersa”. Ma il gioco di contrari esiste e l’orizzonte è uno spazio indefinito. Solo l’amore e la libertà di concedersi la suggestione di uno sguardo totale possono fondere l’apparente chiasso del vuoto. Soltanto la poesia può mescolare l’infinita gamma dei colori e, come un magico setaccio, consegnare la pura essenza, la sintesi di tutto. Per questo il volume è un atto di fede verso il potere della parola e del verso. È la voce dell’universo che si definisce attraverso il mare, la memoria, il sogno, la musica, la solitudine. Ma è una rivelazione che si impone percorrendo luoghi bui, sconnessi e scomodi. Come il vuoto è il luogo in cui tutto sembra sospeso, così la contemplazione è il momento in cui tutto è possibile. Galleggiano memorie, sensazioni, solitudini, assenze, musiche e presenze. Anche quando tutto appare confuso ed insostenibile, la quiete arriverà con la fragranza dell’incanto. Tutto apparirà chiaro, straordinariamente armonioso, come il potere della poesia. La stessa poesia che sa fare di questo vuoto la culla del proprio sguardo segreto. Ed io, Sonia, con queste mie “inutili parole”, abbraccio te come se stringessi il nostro comune desiderio di mischiarci alla sabbia del mare. Nel silenzio di un tempo vuoto, necessario per entrambi. Natale Luzzagni (da La Nuova Tribuna Letteraria, n°113)

Prefazione a Sonia Giovannetti: Un altro inverno
Un altro inverno
Vedi come il tempo ci muta e come sprofonda per esso l’illusione d’aver per complice l’eternità.
Non so dirti padre mio dove ho posato l’antica ascia e dove riposa l’animo guerriero.
Un altro inverno si è adagiato sul nido delle rondini segnando così il mio volto d’altra stanchezza greve.
Potesse ora il mio tempo sostenerti. Ora che il tempo è abitato dal vero.
Iniziare da questa poesia eponima, che, con tutti i suoi guizzi semantici, abbraccia la plurivocità della silloge, significa avvicinarsi a quelli che sono gli input esistenziali di Sonia Giovannetti. È il tempo l’attore primo dello spartito di questi canti. Il tempo, che, con tutto il suo simbolismo metaforico, contamina le emotività della vicenda umana. C’è il volare delle rondini, il loro nido zeppo di significanti, c’è dunque la primavera, fresca, che tanto sa di giovinezza; e c’è l’inverno, il momento del riposo, della meditazione, dopo la fine di una stagione che ha visto le lacrime rubino delle fronde. Ed è con questa meditazione che l’Autrice si fa cosciente della fugacità dell’ora, della precarietà del nostro casuale soggiorno, dell’accumularsi di tramonti che segnano il volto “d’altra stanchezza greve”. E il tutto in una versificazione snella, densa, affabulante; in una versificazione che segue, con urgenti accostamenti, le espansioni rievocative riaffiorate alla luce dopo lunga decantazione. C’è in queste pièces l’inquietudine di un essere che azzarda voli oltre le possibilità del nostro essere umani. Oltre gli spazi ristretti del nostro giardino, che, pur fiorito, pur avvincente per i suoi iridei e panici contorni, ci chiude in limiti da cui vorremmo svincolarci. Anche perché è il memoriale che ci parla di sottrazioni, di redde rationem, riportandoci a lontane scalate su picchi di vita da cui vedevamo immensi orizzonti a dirci d’eterno; ed, ora, a dirci di padri; a dirci di sguardi per i quali daremmo tutto noi stessi; la realtà smonta quel senso di totalità, di arrogante vitalità umana che vivevamo tanto luminosa da sciogliere ogni bruma:
Potesse ora il mio tempo sostenerti. Ora che il tempo è abitato dal vero.
Sì, quel vero che ci mette di fronte ad una quotidianità a volte oppressiva:
Questa notte come ogni notte, esposta al vento come un panno pulito all’ombra della luce d’una stella, ha segnato un altro solco dentro questa mia stanchezza,
(Notte)
a volte, anche, gioiosa; simboleggiata da un mare che tanto sa di larga effusione per un amore che può persino arrestare la clessidra:
I pensieri torneranno come un mare che batte sulla scogliera e tu sarai la sola cosa vera (Lampo),
ma una quotidianità pur sempre lontana anni luce da quel mondo costruito con i nostri azzardi iperbolici, con i nostri voli onirici:
Luna piena stasera. Lo sai, siamo lontani sotto lo stesso cielo.
Senza la luce pacata e gentile dell’astro a me più caro penserei d’averla sognata questa vita. Questo silenzio. Questa libertà
(Luce di vita)
Una libertà che affranchi la Nostra dalle insoluzioni dell’essere e dell’esistere; un sentimento umano, dacché è umano aspirare al silenzio, ad un silenzio loquace, al completamento di una terrenità forbita di diatribe di memoria pascaliana, di contrapposizioni fra ciò che è reale e ciò che è in seno ad un mistero contro cui ci imbattiamo. Un intrigo di dubbi e interrogativi, irrisolti e irrisolvibili, forieri di malinconie, il quale, partendo dalle ristrettezze del quotidiano, la Poetessa cerca di ovviare con un viaggio traslato, e, anche, di cospicua vis creativa. Quello di una vita, che, con un getto di terra fresca fra le crepe, si riappropria di una fertilità da cui sbocciano fiori freschi come le poesie di questa plaquette. Un viaggio fatto di amore, illusioni, delusioni, dissolvenze, ma soprattutto incertezze su questo nostro andare:
La pioggia si sgrana in dissolvenza ogni volta sul mio corpo. Ogni volta sul ricordo
(Pioggia sul dolore) Una vicenda intrisa di tutti quegli abbrivi emotivi che caratterizzano il nostro vivere in un percorso di versi fuori da ogni epigonismo, da ogni armamentario retorico, dove la vita, spesso, pur apparendo come uno spazio prestato dalla morte, si ravviva di colori che coprono tutta l’iride dell’arcobaleno. Dove il tutto si sprigiona ex abundantia cordis con un ars inveniendi di fattura lirica. Dacché la Poetessa vive e si nutre di poesia:
In questo vorticoso andare, in questo tutto che si muove e muta, l’unica verità che ascolto è la certezza di volere poesia
(L’unica verità)
Ed è ad essa che affida la sua anima, il suo pensiero, le sue contraddizioni umane, le sue perplessità, perché, incontrandosi col cuore dell’uomo, gridi al mondo le aporie da cui è contaminato: “La poesia deve camminare nell'oscurità e incontrarsi con il cuore dell'uomo, con gli occhi della donna, con gli sconosciuti della strada, di quelli che a una certa ora del crepuscolo, o in piena notte stellata, hanno bisogno magari di un solo verso...” (Pablo Neruda); perché gridi al mondo le sofferenze di quei disperati in cerca di un approdo:
… Ma ecco qualcuno, sul molo, lanciare parole dure come sassi a chi arriva dal mondo dimenticato. Come se i loro padri non fossero mai emigrati, e mai avessero patito fame, paura, disperazione.
A volte la memoria tace
(L’approdo)
Una silloge di polisemica significanza e di proteiforme valenza, dove, ora si cerca un raggio antico smarrito; ora un giorno imperfetto che corre ad esaurirsi nel buio dell’essere delle cose; ora un mistero che può far parte dell’esistere; ora un altrove in cui potersi ritrovare; ed ora un amore che domini incontrastato, al di sopra di tutto, in un climax di contaminante armonia:
Ti parlerò nel buio. Sfiorerò il palpito del tuo volto. Sarà anche mio quel tuo lento respiro. La notte ci allontana e lega le promesse
(Parlarti)
Un canto che, nel dipanarsi di tutta la sua complessità vicissitudinale, pur partendo da realtà spicciole, sa elevarsi, con cospirazioni di nessi e fonosimbolismi, al di sopra della canonica sintassi. Dacché la Giovannetti è alla continua ricerca di significanti metrici che combacino con le folgorazioni intime. E sa quanto sia difficile trovare un verbo utile a coprire l’intensità dell’animo umano. Della sua infinita proiezione all’azzurro. Un verbo che sappia contenere uno spiraglio di luce a illuminare un sogno che si sfuma in un ipotetico ultimo addio: Serbami solo uno spiraglio di luce, chè io possa vedere quel sogno dissolversi e lentamente sparire. Come l’ultima onda del mare.
(Non trattenermi)
Nazario Pardini
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