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Lidia Sella
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Note biografiche

 

Lidia Sella, giornalista, scrittrice e poetessa, nata a Milano, dove vive e lavora. Ha collaborato con alcuni quotidiani (L'Indipendente, Il Giornale, Libero, Rinascita, Affaritaliani.it) e diverse riviste (L'Europeo, Gente, Gioia, Lo Specchio, Il Corriere Medico, Spazio Casa, Donna Mamma, Grand Hotel, Viver Sani & Belli, etc.). Ha curato due libri per il gruppo Rizzoli: "Amore come" (Sonzogno, 1999, tiratura 25.000 copie) e "La Roulette dell'Amore" (Bur, 2000, tiratura 43.000 copie). E ha pubblicato con "La Vita Felice" due sillogi poetiche, entrambe alla quinta edizione: "La figlia di Ar - Appunti interiori" (2011); ed "Eros, il dio lontano - Visioni sull'Amore in Occidente", edito nel 2012.

 

 

Pubblicazioni

 

EROS, IL DIO LONTANO, copertine e risvolti

 

LA FIGLIA DI AR, copertine e risvolti

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note critiche

 

Giulio Guidorizzi su “RaiNews24 – Blog di poesia di Luigia Sorrentino”

25 ottobre 2013

Più che una raccolta di liriche, “Eros, il dio lontano – Visioni sull’Amore in Occidente” di Lidia Sella è un labirinto di immagini luminose, animate da una sotterranea energia fantastica, quasi un flusso di coscienza. La poetessa sembra rivolgersi non a un lettore (sia pure schermato, come accade a tanti autori della poesia contemporanea), ma all’oggetto stesso del testo, vale a dire Eros: è una sorta di dialogo con il dio, il duplice Eros della tradizione mitica dei Greci, il piccolo demone che fa nascere l’amore in ogni anima, ma anche la grande divinità delle cosmogonie orfiche. Nella sostanza, “Eros, il dio lontano” non è poesia del frammento, ma piuttosto un poemetto o una meditazione poetica che segue il suo coerente percorso: e così andrebbe letto. C’è qualcosa di intimamente pagano in questi versi; è la percezione di una forza interna alla natura, la forza cosmogonica dell’Eros di Esiodo, l’energia che anima ogni atomo dell’universo e persegue il suo disegno cosmico attraverso leggi segrete, di cui l’uomo percepisce in sé solo l’estrema ricaduta: la sofferenza o l’ebbrezza o l’illusione che lo tocca nel suo essere effimero, mentre dal canto suo Eros è immortale e scavalca il tempo. E così il sogno degli dei Olimpici di eterna bellezza, vitalità, gioia, bastevole a se stessa e non orientata alla contemplazione del Tutto, si riassume nella potenza di Eros. Uno dei percorsi più suggestivi in questo poemetto è il nesso tra Eros e tempo. Sin dalle origini dell’universo “tutti gli inquilini del tempo”, non soltanto gli esseri superiori, ma qualsiasi creatura che abbia una sia pur fugace esperienza dell’esistere, possono conoscersi solo attraversando l’esperienza dell’amore, anche se Eros impone una legge crudele, perché riserva “ai mortali solo amori mortali”. Il testo ripercorre la storia di Eros partendo dalle pieghe desolate di un cosmo bambino per terminare con la rovina dell’amore, che ha perso il suo senso nel mondo occidentale, gremito di Erinni traslocate nelle metropoli europee per seminarvi “ira e bufera”. La crisi di Eros, lo smarrimento della sua dimensione profonda, che i Greci avevano saputo intuire, è la causa della gran fiammata che devasta la nostra civiltà. I versi di Lidia Sella, via via che il discorso avanza, si caricano di nostalgia, dolore, rabbia, contro coloro che hanno cacciato Eros e logorato la fibra stessa della civiltà occidentale. Perché Eros ha tra noi molti nemici, per incultura o mediocrità spirituale: l’homo oeconomicus, il femminismo rabbioso, il consumismo, tutto ciò che alimenta il cupio dissolvi della cultura occidentale, resa sterile appunto dalla scomparsa di Eros. Si avverte un certo aristocratico disdegno nell’ultima parte del poemetto. Però l’autrice invita anche a sognare: Eros si è allontanato, ma un giorno forse potrebbe riapparire. Essendo la forma fondante dell’universo, continua la sua strada nel tempo, indifferente alla cecità di chi lo ha rinnegato.

24/05/2011

ESORDIO: Domani a Roma si presenta "La figlia di Ar" di Lidia Sella. Il non-senso della vita e il mistero della morte: nostalgie e attese

Scritto da: Ottavio Rossani alle 16:31 del 24/05/2011

Tags: amore, memoria, mistero, morte, nascita

 

NOTIZIA:

Domani, mercoledì 25 maggio alle ore 18, a Roma, nella Libreria Croce (corso Vittorio Emanuele II,

156/158), Armando Torno, critico culturale del "Corriere della Sera", e Ida Magli, antropologa, presenteranno

il libro di Lidia Sella La figlia di Ar. Appunti interiori (La Vita Felice, 2011).

 

RECENSIONE

La figlia di Ar è l'esordio in poesia di Lidia Sella, giornalista, già autrice di altri due libri: Amore come (Sonzogno, 1999) e La roulette dell'amore (Rizzoli, 2000). Lidia Sella è stata molto umile, e forse prudente, nel definire il contenuto di questa raccolta come "appunti interiori". Se si considera che la maggior parte dei testi hanno la dimensione del  frammento, allora si può pensare che la poetessa non abbia voluto chiamarli poesie, anche perché quasi tutti hanno l'andamento di aforismi. Bisogna precisare che spesso gli aforismi hanno una pregnanza poetica più forte dei testi estesi; in secondo luogo, non è l'estensione di un testo che determina l'essere poesia. Sappiamo tutti che la poesia c'è, se c'è,  indipendentemente dal numero e dalla lunghezza dei versi. La definizione di aforismi, a proposito delle poesie di Lidia Sella, proviene da Armando Torno, giornalista del Corriere della Sera, critico, scrittore, nonché filosofo a suo modo. Nella postfazione del libro egli sostiene che oggi in fondo non si può più fare poesia. ''Anche se oggi la poesia non è più possibile - scrive infatti Torno - soffocata dalla tossicità della letteratura di massa e dagli scribacchini televisivi, resta una via di mezzo alla parola, o forse un pertugio, quasi un percorso che avete incontrato in queste pagine''.

Lidia Sella, dunque, trova questa via di mezzo e ci rende una parola leggera e accattivante, ma problematica.Finiti i grandi miti, finiti i grandi vati, nell'epoca "post-moderna" scrivere poesia è quasi velleitario, e del tutto inutile, riflette Armando Torno. Questa opinione è rispettabile. Diverse volte ho tentato di dimostrargli che la poesia è necessaria, è salvifica, ed è ancora oggi molto diffusa, attiva, produttiva, quanto meno di un dinamismo intellettuale che altre discipline, narrativa, filosofia, arte, forse non riescono a sollecitare secondo un principio di necessità. Senza la poesia, che mondo sarebbe il nostro? Un mondo senza anima, destinato alla scomparsa memoriale e materiale. Ma, ovviamente, sono opinioni. Tutto è opinabile, soprattutto nel mondo d'oggi, che non ha più riferimenti culturali né tanto meno etici. Eppure i poeti oggi stanno riscoprendo l'epica, cioè la grande poesia, il poema, contrapposto ai frammenti minimali del Novecento. Non per mancanza di ispirazione, cioè per lacune nell'elaborazione dei temi che possano darci una nuova e migliore interpretazione della realtà, ma per necessità, per ritrovare la forza trascinante degli eroi, delle idee, dei sogni. Certo, non può tornare Ulisse, né Achille, né il folle Orlando. Ma può esser riscoperta una poesia dell'azione, della magia della parola. Derek Walcott e Fred Murray , o anche la Symborska, si muovono in fondo su questa strada.

Io qui non sto a dire che abbiamo di fronte una grande poesia. (Ma chi lo può stabilire, se non il tempo?). Voglio solo suggerire di leggere questi versi, o aforismi se più aggrada, comunque poesie, e di goderli nella loro rapidità, nella loro chiarità linguistica e concettuale, nella loro freschezza d'animo. I temi sono quelli grandi, fondamentali, dell'esistenza: la vita, la morte, l'amore, e i risvolti come la memoria, il presente e il futuro, la nostalgia, la malinconia, il sogno, il cosmo, e in particolare il valore "rivelatore" della parola, eccetera. Brevi citazioni: "Ho scritto parole migliori di me / ninfee sospese sullo stagno". "I ricordi / di tutta la nostra vita / occuperanno / - al massimo - lo spazio d'un cassetto". "paradosso erotico: / libera / d'essere tua schiava". "Come battigia strappata all'alta marea / vorrei che tu m'inghiottissi tutta". "Amore, / il più terribile di tutti i misteri".

Ora propongo alla lettura questa poesia breve:

 

Nell'amplesso,

in quel groviglio di membra

- primitivo animale a due teste

ancorate a un'anima sola -

uomo e donna il sogno

finalmente ricordano.

 

Ed ora leggiamo la poesia più lunga. Non la trascrivo tutta. La prima parte accenna alla probabilità che fra miliardi di anni il sole si spegnerà, e la terra piomberà nel buio del nulla. Del genere umano non resterà che "una nebbia di volti perduti". E nella seconda parte:

 

Tutto quel che avremo scoperto

capito inventato

scomparirà dietro l'orizzonte degli eventi,

nel limbo crudele d'un'eterna irrealtà.

E allora più nessuno

ricorderà le sofferenze,

le intuizioni o gli amori

di questo inquieto abitante del cosmo.

Nessuno si sforzerà di comprendere

quale fu il dramma

d'un animale pensante

che sapeva di dover morire.

Non rimarranno che spazio e tempo

incurvati sotto il peso della sua colpa.

E i grandi silenzi delle notti stellate.

Ma senza più occhi per vedere.

Lidia Sella

Da La figlia di Ar (La Vita Felice, 2011, pagg. 88, euro 12)

La vita, la morte, il mistero. Questo il triangolo in cui si dibatte la parola di Lidia Sella. Con eleganza, con rapidità, con sobrietà. Un interrogativo continuo anche quando  l'interrogativo non c'è. Una ricerca sul senso della vita e sul valore della morte. Una risposta manca. Tutto si sviluppa in momenti (o ricordi o visioni o attese). Scrive Lidia Sella: "nascere, pensare, morire: / non c'era un'altra soluzione?". Purtroppo no. Altra soluzione non c'era, non c'è, ma è proprio questo mistero che rende appassionante la vita, la necessità di andare fino in fondo, deplorando ogni tentativo di porre fine all'esperienza prima del tempo. In questo quadro desolante, l'unica verità è la parola. Ma la parola può essere anche ingannevole. E chi stabilisce il discrimine? Proprio l'uomo, guarda un po! Altro che aforisma! Qui c'è un pensiero lungo. Qui c'è una forza immaginativa che va al di là del visibile, sfiora il probabile, rivendica l'impossibile, senza rendersene conto, forse. Insomma, è la poesia. Dunque, felice esordio.

Ottavio Rossani