Mario Viola |
Note biografiche
(Note biografiche aggiornate al 7 Settembre 2015) Mario Viola è nato a Volpiano, in provincia di Torino, il 13 settembre 1961. Diplomato Ragioniere nel 1980, lavora come impiegato presso una grande industria torinese. Scrive poesie per passione dai primi anni Ottanta, oltre all'altro suo amore per la pittura. L’autore ha partecipato a vari Concorsi Letterari ottenendo vittorie, premi, validi consensi critici e significativi riconoscimenti. Vincitore del Primo Premio al Concorso Nazionale di Poesia "La mia Terra" (2013) organizzato dall'Università Terza Età di Volpiano, con la poesia "L'anima della pianura". Primo classificato al Premio Internazionale di Letteratura "Toscana in Poesia", VI Edizione (2015), di Viareggio, per la Sezione Poesia Singola. Ha ottenuto Secondi, Terzi Premi e Menzioni d'Onore partecipando a Concorsi quali "Il Golfo", "Le Cinque Terre", "Borgo Ligure", "Portus Lunae", "Antico Borgo", "Terre di Liguria", "Città di Pinerolo", "Iniziative Letterarie Milano", "Toscana in poesia", "Il Litorale". Premi della Critica e della Giuria ai "Via Francigena", "Città di Salò", "Città di Pontremoli". Sue poesie sono state inserite in molte antologie letterarie di pregio come: "Fiori Amori" e "Le Stagioni" edite da Barbieri Editore di Taranto, "Tempi Moderni" a cura della Casa Editrice Libroitaliano di Ragusa, "Poeti e Scrittori contemporanei allo Specchio" e "Tendenze di Linguaggi" a cura delle Edizioni Helicon di Arezzo, "Cara Mamma ...", "Caro Papà ..." e "Il fascino della Memoria" per le Edizioni del Porticciolo della Spezia. La sua biografia con nota critica è stata inclusa nel "Dizionario degli autori italiani del secondo novecento" (Edizioni Helicon, Arezzo 2002), e nel "Dizionario biobibliografico dei poeti e dei narratori italiani dal secondo novecento ad oggi" (Bastogi Editrice, Foggia 2010). Inoltre ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie in volumi personali: "Portolani" (Libroitaliano, Ragusa 1994) ; "Rapsodie" (Maremmi Editore, Firenze 1996); "Fuochi fatui" (Lineacultura, Segrate 2002) ; "Strade del deserto" (Lineacultura, Segrate 2005); "Onora il padre e la madre" (Bastogi Editrice, Foggia 2009); "Nostalgiche alchimie d'infinito" (Le Edizioni del Porticciolo, La Spezia 2015). L'autore si è sempre interessato alla Letteratura e alla Pittura, due forme d'arte che consentono di esprimere le emozioni e le sensazioni più profonde, dando senso liberatorio all'animo e aprendolo all'infinito.
Note critiche
Mario Viola è poeta intimista, dalle ricche sfumature di sentimento, che nel verso sanno trasformarsi in sfumature liriche, con un dettato limpido ed una sobria ed elegante stesura ritmica. I suoi versi non sono mai espressione di tripudio, bensì di meditazione sul vivere, e talvolta di stanca malinconia: lo colpiscono nel profondo le disavventure dell’esistere e le assenze dei sui cari, intorno ai quali ruota, per lo più, la sua ispirazione lirica. I sentimenti ed i valori ch’egli esprime sono complessivamente di alto potere suggestivo, in quanto coinvolgono qualsiasi lettore, inducendolo a riflettere sull’importanza degli affetti familiari e dell’amore per i propri simili. Sentimenti talvolta ritenuti obsoleti, o forzatamente dimenticati, ma che possono ricreare intorno all’uomo moderno quella fitta rete di emozioni, cui l’autore aspira col suo dire poetico. E sulle emozioni si snoda ogni suo verso, intenso e sincero, come le parole ch’egli sceglie, ma anche armonicamente determinato e gentilmente espresso, in grazie di un linguaggio puro, attento e gentile.
Recensioni
Dalla Nota Introduttiva di “Rapsodie”
“Una sofferta liturgia del dolore si fa strada in questa poesia di Mario Viola, ma allo stesso tempo, si stempera ad una configurazione sodale per l’assenza della madre, alla quale sono dedicati questi versi. Il poeta si svincola dai ritmi di una dimenticanza che potrebbe interferire sul suo viatico di fede e di amore per incamminarsi verso una perenne immaginazione che ne fortifichi e ne amplifichi il sentimento filiale. La sensazione non è di oblio, ma di una vivificata narrazione affidata alla bellezza esaustiva del tempo, della nostalgia, del rimpianto. ...” NINNJ DI STEFANO BUSÀ – Prefazione a “Fuochi fatui”
“Vi sono alcuni elementi primari che saltano all’occhio in questa raccolta di Mario Viola, e sono nell’ordine: la compostezza delle immagini, la sintesi dei concetti, la più speculare e allusiva raffigurazione delle metafore. Si direbbe che l’autore ha fatto sue alcune regole fondamentali di un processo riconducibile all’esigenza di equilibrare, ancor più, il linguaggio lirico ad una granitica ricerca interiore, senza nulla togliere all’ispirazione immediata che si finalizza semmai in una maggiore coesione e compattezza, dal momento che se ne riducono strutture e procedimenti fuorvianti, dove la verbalità potrebbe sopraffare o violentare la voce che il processo di ricerca conduce....” NINNJ DI STEFANO BUSÀ – Prefazione a “Strade del deserto”
“In questa nuova raccolta Mario Viola tende ad illuminare il vuoto lasciato dai genitori, attraverso un linguaggio che fluisce limpido e chiaro dalla consapevolezza del suo vissuto. L’autore, rielaborando in chiave metafisica il disagio delle sue perdite familiari, fa un bilancio sincero ed NINNJ DI STEFANO BUSÀ – Prefazione a “Onora il padre e la madre”
Il poeta a caccia di stelle ( di Paola Ivana GRANDI ) Il percorso poetico di Mario Viola ha il suo avvio nell’infanzia, allorché ascoltava le fiabe materne che lo facevano viaggiare su un immaginario arcobaleno verso liberi mari, terre esotiche e levantine: il nascosto cortile di casa diveniva allora una corte dei miracoli, dove “storie di ciambellani e briganti, / d’eterei cavalieri dimezzati, / s’inseguono nel trasformarsi / d’ingannevoli situazioni virtuali”. Se la maturità ha inaridito l’immaginazione e ha reso più difficile “spargersi sulle nuvole luminose / del cielo ed inseguire veleggianti albatri”, gli sono rimasti tuttavia “sogni su pascoli del sonno / come essenza d’altra esistenza, migliore / di quella triste d’ogni giorno”. Afferrando le leggende del suo animo egli ancora oggi rivive “delle costanti memorie / le suggestive chimere”. Mario Viola non conduce una vita appartata e solitaria, è inserito nel mondo produttivo e sa muoversi negli insidiosi meandri della prassi aziendale, ma ha anche dietro le spalle un’esperienza di impegno civile e sociale: “la nostra rivoluzione / l’abbiamo vissuta, / ancora stringiamo / drappi e sogni, / anche se dolorosamente / nulla è restato / del nostro sacrificio. / Persa è la lotta / per conoscere la verità”. L’attuale a suo avviso è una “generazione senza nome, / stracciata e sconfitta, / banderuola nella tempesta, / divisa nel sogno sconosciuto / e nella stordita falsa realtà, / dietro alla massa sconfitta”. Egli, che ha “chiesto, / al mondo libero, / un pò di verità”, è stato scaraventato “su un solitario / oscuro mare, / sotto una / triste luna” e gli è venuta in soccorso “la creola / regina /della / pioggia, /con giochi / del destino / nelle sue / diafane / mani / blu”, ovvero la fantasia. “Sul palcoscenico del mondo / interpreto la mia parte / come attore consumato, / ogni sorridente giorno / l’eterea comparsa / arricchisce la trama / dell’allegra commedia”, però la sua esistenza è un “tagliarsi in due / e qui vivere / e là essere”, in quanto “la vita reale avvizzisce / mentre la fantasia vive / nel ricordo d’un fremere d’orizzonte / d’uccelli fuggenti in macchie”. I viaggi dell’immaginazione “portano lontano / nell’umidità verde / dell’insondabile“ e l’anima migra “alla ricerca / di scenari infiniti / nella certezza dell’immensità / assolutamente perfetta / nell’irrealtà / dell’assoluto”. Egli privilegia, rispetto ai vincoli del costrutto logico, il potere della creazione fantastica; essa “è brillare di libertà, / è vivere lucido su / irrazionali confini, / in altre galassie e / circoli planetari”. Il libero gioco del pensiero sostiene e consola nelle battaglie dell’esistenza, “nel libro dei sogni / ho rubato l’arco d’un’ala bianca / cavalcando il fiume del dolore / come la luce che trasforma / l’orizzonte in tramonti di sangue, / tanto da sopportare le pagine / e il loro peso fatto di giorni / nel libro dei sogni”. Il sogno accompagna e rallegra le ore della notte, “nel canto del menestrello / sulla melodia dell’assoluto, / chiare visioni d’uno sguardo / navigante in lontani spazi / restano nella vita sommessa / del mio sonno travagliato / vertigini di colori e note / profuse su tappeti di comete, / seguendo voci di miraggi neuronici / attraverso irraggiungibili limiti / su schizzi d’universi infiniti / ...cacciatore di stelle”. Il menestrello è la mente, così come essa viene interpellata dal poeta in un’altra lirica: “suona per me, / suona le tue parole / sulle corde stonate / e stridule della voce, / piccolo menestrello / con un banjo stonato. / Suona sempre la mente, / disegna canzoni e muse, / colori e paesaggi di volti / e melodie misteriose / a illuminarli indefinitamente”. Egli crede, o si augura, che un giorno “un ponte / di giunchi e canne / unirà le rive / tormentate / dei nostri stagni, / ad intessere fiori / alle code delle comete”. Le rive degli stagni sono le singole esistenze, separate le une dalle altre da acque di diffidenza e incomunicabilità, ma l’autore spera in un’altra vita, non di questa terra, nella quale amore e concordia possano dominare. La contrapposizione, sovente messa in evidenza da Mario Viola, tra ragione e spirito ripropone in modo nuovo il dualismo di corpo e anima, dove la facoltà intellettiva, prodotto dell’interconnessione di neuroni, appartiene alla res extensa, al corpo, mentre l’immaginazione appartiene alla res cogitans, l’anima : “usate la violenza della ragione / credendo di stringere / l’essenza / del tremito d’una farfalla, / ma l’anima / s’insegue nell’estrinsecarsi / della creazione mentale / affondando nel gorgo dello spirito. / Oltre il disfarsi della costruita materia / esiste in quanto creazione / il potere dell’immaginazione”. L’anima produce in piena autonomia dall’intelletto i propri simulacri, in quanto avulsa e incontrollata dal logos può, anche in un’epoca di cervelli artificiali, rivendicare la sua natura immortale rispetto alla caducità dei corpi. Il tema del destino ultimo dell’uomo è sviluppato in diverse composizioni; talora affiora il dubbio, “continua la persecuzione / di una domanda, / atroce e indefinita, / a cui non esiste / possibile risposta / di grumi cerebrali / e torri psichiche”, risolto in una provvisoria euforia di resurrezione “e canto il volo / del mondo, / e chiamo / il suo tramonto / come fosse / la sua alba”, talaltra compare esplicita l’esigenza di ripiegarsi sulla fede, in quanto la mente umana non può comunque dare risposte, “e sconfiggere la paura / d’arrendersi alla semplicità / per accettare l’incapibile, / e dissetare l’ansito / e lo stanco tormento / nell’estasi del mistero”. Il mondo poetico di Mario Viola è ricco di introspezione e analisi metafisiche, ma questi aspetti non escludono la lirica amorosa e l’idillio; della donna vagheggiata egli non apprezza soltanto la bellezza esteriore, ma vuole indagarne anche la mente: “vagabondando nei tuoi sogni, / quelli più nascosti, / mai ti trovo limpida / e felicemente lucida, / ma spesso persa nel torpore / d’un sonno abbandonante / l’infinita rotta della vita”; “vorrei conoscere i tuoi desideri / per sperare di mutare i pensieri, / convincendomi ancora a tentare / senza dire molte parole”. Le liriche ora sono pervase di mestizia e parlano di amori perduti “veli di malinconia... / transitano in cerulea opalinità di desiderio / lo specchio indaco del mare trafitto / nel riflesso del cielo smeraldo. / Lontano vola una pergamena” - la pergamena che vola lontano è il simbolo della promessa infranta - ora parlano di speranza “e quando parteciperò questa segreta foresta / ai tuoi passi silenti,... / sotto le braccia d’arcano sicomoro / nascerà l’infinito”, ora il sentimento è semplicemente accarezzato, senza nulla chiedere in cambio “questo amore, che forse non è, / da solo esiste e si ammira / nella sua purezza estatica, / non si chiede perché”, ora si volge a creature evanescenti di sogni ad occhi aperti “eri tu!... / ma perse nel sonno / sfuggenti sfumate / sembianze / ...ed ero sveglio”, che potrebbero rispecchiare il versante femminile della psiche maschile. La poesia idilliaca è ricca di colori di cielo e di acque, “brevi trame del sole sottile / che ridipinge i colori del mare / nel cielo terso del nuovo giorno, / riflessi saltellanti nell’aria”, di alberi nella veste autunnale, “le foglie riaccendono / il loro impallidito pigmento, / raddrizzandosi sui rami / rattrappiti da venti freddi, / e cantano dell’autunno, / a morire, tardo. / Vorrei conservare questi colori / per spargerli ai soffi piangenti / dell’inverno bianco”, di purpurei tramonti, “e il crepuscolo / è una voragine / di sole scoppiato, / ...nel triste scontento / del buio nella sera”, di cirri e di cumuli che vagano “sferzati in movimenti dipinti”, di venti impetuosi, “mistral, fuoco indimenticabile, / vento corsaro nel cielo che vive”, di fredde serate invernali in cui si può contemplare un “reticolo ricamato / su soffice ombra lunare / attraverso lo sparpagliare / del vento nelle fronde / ghiacciate della collina”. Il poeta rivendica con orgoglio la sua origine contadina “siamo sangue di contadini, / mastichiamo la terra come fosse pane”, diffida di una società tecnologica che allontana l’uomo dalla natura e affida la produzione alle macchine, comprende l’inevitabilità di un tale progresso, ma ne vede gli effetti negativi sull’uomo, il suo isolarsi in un’illusione di potere “truculenti / fari d’auto / sono comete / nel tunnel / d’asfalto, / e in esse / vivono / persone / come per / tecnologica / magia. / Non ci / vediamo / in viso, / ma fanali / parlano / per noi / d’arroganza / gelida, / e lampeggiano / solitudine / notturna / sulla strada / percorsa”. Dai tentacoli di questa civiltà che ha raggiunto un alto livello di conoscenza, ma che aliena l’uomo dal suo habitat, lo svilisce e lo priva di un autentico sentire, egli si è liberato affidandosi all’estro creativo e concentrandosi sull’invenzione poetica, col serio proposito di lasciare ai tempi futuri la sua testimonianza di pensatore non incline alle chimeriche ideologie vincenti della nostra epoca.
Letture
Sei volata via, angelo, come farfalla hai lasciato la stanca crisalide, fiore reciso dalla morte nell’invernale notte.
Presenza generatrice d’instancabile amore, eri dolce tenerezza nell’aspra giornata, eri luce e strada nella difficile oscurità.
La sofferenza del male ha strappato una vita di mite e forte certezza, lo spirito ha dovuto rinunciare al mondo dei sentimenti terreni.
Nel silenzio capivi e sapevi, gustavi gli ultimi attimi d’una luminosa esistenza dal dolore segnata. Nell’inconsolato pianto gli insegnamenti restano per seguire la giusta via, ci rinnoviamo al cospetto della marmorea lapide nel campo sempre verde.
L’inesorabile dipartita è malinconica pioggia d’immensa tristezza, è mazzo di colorati profumi a parlare della tua anima fertile di gemme e frutti.
Vive la speranza del ritrovarti domani in cielo e terra nuovi.
Essenze floreali
Ancora cerco di vederti sulla rugiada dei petali nel giardino al mattino, immagino di sentirti parlare nel chiarore del cielo terso. Torni spesso nei pensieri a malinconica situazione orfana della tua presenza, ci manchi indefinitamente nei limitati paesaggi di crepuscolari momenti, nella vita che scorre, ormai, come ruscello lentamente cheto. Latitante freschezza di primule sbocciate ai bordi della casa che muta accoglieva intrecci di miti cuori, avvinghiati come edera, su sentimenti leggeri. Ritrovarti in effluvi d’essenze floreali al di sopra delle nubi, sperando che la tua scintillante anima possa rimembrare il tenero rifugio sulla terra silente. Voglia l’infinito sostenere quello che hai generato, radicandolo profondo a queste foglie d’erba di sentieri conosciuti.
Mamma
Sei un fiore colto da Dio.
Vorrei sognare di te questa notte per poter risentire la tua voce, e rivedere il tuo sorriso.
Quanto mi manchi, eri il mio nido, e mi proteggevi con le tue mani dalla pioggia del tempo.
Ora i giorni sono passati, e il male ti ha rapita a me e ai miei cari, non sei più in questo mondo, ma da altra dimensione mi segui e proteggi sul mio cammino.
Spero che la luce dell’immenso ti rischiari la vista, e tu possa vedermi in fondo al mondo, e possa tu portarmi sogni felici di tempi percorsi insieme, per poter ancora sentire la tua dolcezza.
Eri rondine di primavera, farfalla di prato, fiore di margherita, tu...
Mamma...
Mistral
L’aspra bellezza della Provenza, il soffio impetuoso del suo vento, le rocce riarse, il calore del sole, la luce accecante del tramonto, tutto concorre ad ispirare nel poeta versi intensi di passione e di emozione. La descrizione dei luoghi procede con annotazioni cromatiche ed intuizioni istantanee, mentre il sentimento emerge con lampi di suggestioni ambientali, dalle intense tonalità cromatiche. Una lirica ricca di sensualità, di impeto e di partecipazione. Da “Antologia Via Francigena 2008” – Le Edizioni del Porticciolo 2008
Vagano veloci ombre
piegarsi di terra e foglie all’urlare lontano del mare
la conca verde brunito ai piedi delle fronde cerca riposo.
Il monte è masso di donna addormentata nelle sue curve impazzisce il cielo d’un gusto pieno, ma impavido nel vagare di cirri e cumuli sferzati in movimenti dipinti.
Mistral, fuoco indimenticabile, vento corsaro nel cielo che vive...
Trafiggimi del tuo calore fragile sole sfuggente al garrire di vividi contrasti pregnanti.
Provence, acre tramonto su me...
Cromatico aroma d’ubriacanti paesaggi.
La giostra del mondo
Molte strofe della poesia sono dedicate alla descrizione della situazione dell’uomo, e ciò che ne scaturisce non è certo confortante: dolore disillusione, solitudine popolano i giorni inutili degli individui. Resta salvifico l’amore: il poeta lo offre come ancora di salvezza finale, purché sia totale e donato con generosità. Un messaggio di vita di alto valore, per una composizione decisamente effusiva, che abbonda di immagini e di sensazioni emozionanti. Dall’Antologia “Poesia all’ombra della fortezza” – Le Edizioni del Porticciolo 2008
Il giorno chiede pietà alla sera, un brivido resta sul viso ocra, il sole vivo non lascia ombra calando denso nello sguardo.
In questa vita un cuore scuro, dove poeti declamano pensieri e minimali eteree canzoni silenti afferrate nelle mani dell’amore.
Il sangue ancora grida dalla terra, come fiume che scivola al delta, non credo a spogli fiori finti quando la luna diviene pallida sul ponte del dolore infinito.
Abbandonando l’oscurità della notte mi sveglio inerme, sotto le sferzate della tempesta che sale distante, cercando di prevedere il destino.
Andiamo con occhi rossi per le strade, come se non avessimo mai ricevuto amore troviamo facilmente qualcuno da incolpare, in bocca il gusto d’un pianto amaro fra nere nuvole e portali d’oro.
Nel taglio del brillante cielo nuota profondo un mare acceso, il vento che passa sulla mente perde la scintilla nel cammino, muta all’anima la stagione.
Fatui illusori lumi affiorano, colori ruotano sul tenue passato, gelidi moniti angoscianti scorrono, se in bugie i monti franeranno corri, non guardare indietro.
Siamo uguali, insieme diversi, certo ci sosteniamo a vicenda, siamo un vago passaggio d’allodole, un volo e cadiamo oltre il cuore.
Sulla giostra del mondo, se risparmi il tuo amore non risparmiarlo tutto.
Suadente stella di giovinezza
Un novello arcobaleno mi guida a solcare la scintillante distesa dei fili dell’erba nel prato, seguendo l’alitare del vento cantare sull’arpe della pioggia, in acqua di sparsi vetri colorati su delicati profumi iridescenti.
La melodia dell’infanzia lontana si riaffaccia nei liberi pensieri ricordando i tuoi occhi rilucenti, sull’indecisione di qualche dove inesistente nel violetto riflesso dello specchiare la soffusa vita.
Canto tinte di lavanda, variate sensazioni di seta, nelle blu corolle verdi d’immaginari tenui giochi d’un bambino smarrito, nato con un cuore di loto.
E la canzone è per te, che tenevi la mia mano nei giorni spesi dal tempo, suadente stella di giovinezza.
E quel bambino ero io, nato con un cuore di loto.
Il sapore della malva
Una descrizione estremamente “poetica” della condizione dei vecchi, quasi consunti dal vivere, che si sostengono a vicenda e, nonostante tutto, continuano a coltivare i loro sogni. Uno sguardo attento e affettuoso, che sa scavare nelle pieghe recondite della psiche senile, ma anche nell’anima di chi ha già percorso tanto cammino, ed è ormai stanco: una lirica che parla al cuore per la gentilezza del dettato e delle parole, per la capacità di puntualizzare ed astrarre allo stesso tempo, per le belle immagini che vi sono delineate. Da “Antologia Città di Salò 2009”
La pioggia è obliqua, scroscio su scroscio, con un cielo così basso che porta umiltà.
I vecchi mormorano solamente in punta d’anima, sono senza illusioni, hanno in due un cuore solo, per aver troppo pianto gli occhi si perlano, per aver troppo riso le voci si screziano, se tremano un po’ è nel vedere scorrere ineluttabilmente i ricordi del tempo passato.
Parlano della morte, come si parla d’un fiore, guardano il mare, come si guarda un pozzo, non si muovono più, i gesti hanno troppe rughe, un giorno s’addormentano a lungo nei pensieri, mentre si tengono per mano hanno paura di perdersi, e si perdono, malgrado tutto, nel paese senza sogni.
La loro casa odora di timo, di lavanda, d’insonnoliti libri e desueti verbi dal sapore della malva. da: “Fuochi fatui” - Lineacultura
Aggiorniamo la sezione Letture di Mario Viola, con alcune recenti poesie:
Vetrofanie un altro posto quante volte un altro giorno
galleggiare in dimensioni trasparenti come uomo invisibile con il viso volto a cercare l’ombra dell’irreale
… tra aghi di pino nel refrigerio del sottobosco segni di sanguinosa ferita nelle siepi d’inchiostro stellato nelle sussurranti cortecce di dimensioni appena accennate
i miei viaggi portano lontano nell’umidità verde dell’insondabile
… tra parole scivolate via nella sera d’arcipelaghi ed atolli racchiuse affondate nelle profondità dell’esistenza
colare dell’acqua le mille spore in luccicanti vetrofanie diamantine
nell’estasiarsi dell’anima migrante alla ricerca di scenari infiniti nella certezza dell’immensità assolutamente perfetta nell’irrealtà dell’assoluto Frutto di una ricerca stilistica innovativa, che si allontana dai canoni consueti della lirica, per percorrere nuove vie espressive, la composizione si muove tra immagini naturalistiche e visioni interiori puntualizzando l’eterea e insondabile realtà che circonda l’uomo e la sua vita. Interessante e coinvolgente, denota una vigorosa introspezione e la capacità di esprimere con lucidità una miriade di moti dell’anima. Da Antologia Via Francigena 2010 – Un itinerario di poesia
Parole fuori margine Poter essere poesia nel vento, errante trovatore appassionato, di strumenti suonatore esperto, pittore di corolle e ali in volo.
Poter essere poesia nel mare, culla di onde avvolgenti e trepide, nel delicato anelito di spuma, nel sospiroso approdo alla scogliera.
Poter essere una chiara voce nella coscienza dell’umanità, nei tristi momenti della gente dissolvere le trame dell’iniquità.
Quando si desta l’ispirazione, nel silenzio del sonno, un sorriso carezza la mente e dà nettare al mio inquieto pensiero.
Sono ciò che il passo calpesta oltre ogni frontiera del reale, sono l’universo che è nel cuore, sono sussurro e rumore assordante.
L’armonia dell’intrinseco tutto che nasce dal possibile niente, in frasi su pagine senza tempo con parole fuori margine.
Guazzi di stelle frugano il cielo.
Versi solcano strade del deserto. Questa è una poesia che nasce da una ispirazione autentica, che desta il cuore e i sensi del poeta risvegliando il bisogno acuto di scrivere. Questi versi, distribuiti in quartine composte, misurate nel ritmo e nel linguaggio, denotano il desiderio di dare voce a sentimenti che, senza essere chiamati, sorgono repentini dall’interiorità per fissare sulla carta ciò che muove da dentro. E il poeta mostra umilmente la sua aspirazione a migliorarsi continuamente. Da Antologia Città di Salò 2010
23 Gennaio 2015
Una nuova poesia di Mario Viola
La tua canzone nel vento
La tua canzone nel vento, il riflesso del sole nei tuoi occhi di primavera precoce …
Terra d’altri confini, infiniti ed immateriali, racchiusi in un sentimento antico che intenerisce il cuore, un desìo di limiti a trascendere da ritrovare nel corso della vita.
Ricordi che s’intrecciano a futuri inespressi d’altri colori, immensità a rifulgere d’altri mari in orizzonti di tramonti infuocati.
Nostalgia e malinconia del tuo essere sorriso d’anima, fertile terra nel tuo sguardo di donna persa nello spazio come laguna nell’oceano.
Rincorro il tuo sguardo, e le tue movenze morbide d’altri paradisi perduti. Madre terra confonde giunchiglie con l’ancestrale alba della creazione immaginifica.
Resta l’estasiarsi dell’aurora, nel soffio spirituale del vento, sul filo dei tuoi occhi, che infinitamente fuggono via …
Fulgido screzio nel cielo pastello
Aggiornamento 15 maggio 2015 NOSTALGICHE ALCHIMIE D’INFINITO di Mario Viola Una nota critica di Rina Gambini L’infinito nel quale perdersi con un misto di curiosità e di paura, nel quale trovare se stessi e le energie per rinnovarsi. L’infinito: il magico nulla sconosciuto e inconoscibile dalla limitatezza dei nostri sensi. Scrive Leopardi nello Zibaldone: “L’anima s’immagina quello che non vede… e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto perché il reale escluderebbe l’immaginario”. Infinito, dunque, che è aspirazione alla libertà, al pensiero, alla fantasia. “Scalare il cielo / per trovare nello spazio / l’abbagliare di un fulmine, / sospirare dell’universo / l’immensa luce vitale // l’energia lontano spinge…”, dice Mario Viola nella lirica Camminatore dell’infinito. Che l’infinito sia una costante di questa silloge poetica lo indica il titolo stesso, Nostalgiche alchimie d’infinito: titolo in cui, in realtà, si condensano i temi salienti della poetica dell’autore. Infinito, nostalgia, magia delle parole e del pensiero: sentimenti che nascono in un animo gentile e sensibile e trovano nella poesia la loro espressione più congeniale. L’infinito torna sovente, come già detto, nei versi che sconfinano nello spazio siderale alla ricerca di una meta interiore, di una luce che sia guida nel cammino e bagliore dello spirito: “Ho lanciato i miei cavalli / al galoppo sfrenato / verso il lontano orizzonte, / per raggiungere infine, / con la mia anima, / l’estremo confine. / I limiti sono barriere / da superare nella vita / per non restare / abbandonati all’oblio.” Così in Le stelle ed oltre. E in Armonia: “Al centro dell’occhio di luna / abbandonarmi alla corrente / della vita solare e notturna / sulla grande pianura dell’anima.” Con altrettanta ricorrente intensità appare la nostalgia, che conduce il poeta nelle pieghe del ricordo e gli fa rivivere momenti felici, sentimenti sopiti seppure mai dimenticati, persone care che hanno lasciato impronte indelebili, oppure fugaci incontri ricchi di speranzose attese. “Ricordi che s’intrecciano / a futuri inespressi d’altri colori, / immensità a rifulgere d’altri mari / in orizzonti di tramonti infuocati. // Nostalgia e malinconia / del tuo essere sorriso d’anima, / fertile terra nel tuo sguardo / di donna persa nello spazio / come laguna nell’oceano.” (La tua canzone nel vento). E ancora nei versi finali di Poesia effimera: “Memorie d’attimi indefiniti / incalzano nel mio animo, / e ritrovo momenti di sentimenti / dolci e solari vissuti con te. // … // Sarà un altro ricordo da non perdere, / un platonico amore da non dimenticare”. Ricordi, nostalgie, malinconie: tanti i temi trattati in questa sorta di capitolo inglobato nel contesto della silloge. Gli amici dell’infanzia e dell’adolescenza, perduti lungo il cammino della vita, “partiti per vite differenti, / traditi dai loro sogni.” (L’amicizia perduta), al massimo sentiti con una telefonata per gli auguri delle feste, ma divenuti estranei, vivi solo nella memoria. Il profumo del pane appena sfornato, come nei giorni dell’infanzia lontana, con la famiglia riunita intorno alla tavola per il rito gioioso del desinare. L’odore della terra nel declinare della stagione, quando cadono le foglie e il muschio esala effluvi umidi che inducono a mesti pensieri. Il rumore del vento che soffia sulla pianura e porta con sé il sentimento di appartenenza che il poeta sente vivace nel cuore. La mestizia del giorno dedicato ai defunti, pervaso dalla bruma di novembre, e dalla malinconia dei ricordi struggenti dei propri cari. La figura della madre, sempre presente anche nell’assenza, immateriale luce di sicurezza, d’amore e di speranza. Ancora ricordi di luoghi visti, vissuti più col cuore che con la mente, impressi nella memoria e nella fantasia, vividi di emozioni interiorizzate. Il Golfo del Tigullio in una giornata di dicembre vibra del fragore del mare che sciaborda sulla riva e dello stridore dei gabbiani che volano vincendo l’attrito del vento; s’illumina dei colori vivaci delle case a ridosso del mare, della luce velata del sole; emoziona facendo presagire antiche storie di avventure e di pace. Per contro, Rimini d’estate, con l’afflusso dei turisti, le luci e la vita notturna, i bar sempre aperti, l’arenile infuocato. Il senso di libertà della Polinesia, la mesta armonia dei canti lusitani ascoltati a Lisbona, l’impressione di desolazione della martoriata città di Beyrouth. E poi Fatima, con la sua spiritualità che attira i pellegrini, “miracolo dell’anima / che ritrova l’esigenza della penitenza, / per conquistare la purezza della / nostra Signora del Rosario.” (Il sole danzò quel giorno a Fatima). Lourdes, carica del mistero del miracolo, meta di persone disperate e speranzose, “che accettano l’inspiegabile; / paradiso per molti in terra, / disseta l’arsura delle fiamme / pellegrine con la sua acqua. // Acqua di purezza e verità” (Lourdes). Spesso ricorre l’immagine del mare, soprattutto il rumore del mare, la sua mesta armonia quando è tranquillo, il suo fragore quando è burrascoso. Il mare come gioia e come malinconia, come scorrere del tempo e come immanenza, il mare come libertà e infinito, nello scambio e nell’intersecarsi delle suggestioni dell’anima poetica. In questa miriade di immagini, profumi, visioni, in questa selva di sentimenti e di emozioni, sta l’alchimia che plasma la vita, l’intensità di un’anima e di una coscienza che, pur aderente al presente, non dimentica il passato e i doni elargiti dalla natura. Il cuore di un poeta dei nostri giorni che sa viverli nella pienezza consapevole di realtà e illusione. Mario Viola conosce bene la magia della poesia, la coltiva da anni, la sa interpretare e riprodurre con il suo linguaggio pacato e sicuro, con l’armonia di versi pieni, intensi, musicali. E la poesia è per lui rifugio e guida nell’arcano mistero della parola. “Sempre quando lo spirito si stanca, / mi affido all’anima, che sa navigare / in nuovi arcipelaghi, a rinfrancare / il mio stanco cuore di marinaio. // La parola è timone che dirige sulla rotta / le vele alzate dalla libera coscienza, / e ritrovo momenti infiniti di serenità / nel vento che spinge i velieri dell’anima” (Velieri dell’anima).
Rina Gambini
31 Dicembre 2015 Attestati conferiti a Mario Viola al Premio Energia Per la Vita, Città di Rho 2015 e al Premio Città di Pinerolo 2015
26 Aprile 2016 Una nota di Paola Ivana Grandi su "Nostalgiche alchimie d'infinito" Nostalgiche alchimie d’infinito L’alchimia è una scienza empirica che nel passato si proponeva di trasformare il metallo in oro e di creare l’elisir di lunga vita, tramite la pietra filosofale. Il titolo dell’ultima silloge poetica di Mario Viola richiama alla mente questa impossibile aspirazione all’immortalità terrena, con una punta di rimpianto per le epoche dominate dall’illusione di poter vivere perpetuamente giovani. L’uomo, quando ha raggiunto nella “scalata della vita” la “vetta più alta”, la maturità, è preso dalla “visione malinconica / di quel che del tempo resta”, e guarda “nello specchio del mare / il riverbero del perduto sole”. Il mare e il cielo, che nelle onde “si tuffa…/ sulla linea dell’orizzonte”, richiamano quel tempo, quello spazio, infiniti, l’immagine dei quali i poeti, gli artisti, si sono sempre sforzati di rappresentare, senza sfuggire alla tentazione di dimostrare, avvalendosi di labili tracce colte dalla loro sensibilità, che di essi l’umana natura è partecipe (se l’uomo la concepisce, significa che l’infinità gli è peculiare). “Scalare il cielo / per trovare nello spazio / l’abbagliare di un fulmine, / sospirare dell’universo / l’immensa luce vitale… / camminatore dell’infinito / cavalchi veloci astronavi, / e attraversi buchi neri / perdendoti nel tempo”; “ho rivisto i tuoi paesaggi, / passate sensazioni scordate / nelle sue pupille acquamarina / … / Nei suoi occhi di cielo / sono sprofondato sognante / in nuove situazioni e possibilità /…./ Risvegliavi, come allora, / in me il desiderio di spazi / senza tempo e senza confini / fatti dallo scorrere di fiumi / lungo le pianure ricamate / in ombre d’allineati cipressi /… /cogliendo la grandezza / della tua intrinseca essenza / d’essere infinito di libertà”. La libertà, il sogno, sono temi che procedono assieme, perché la libertà è l’appagamento del sogno. “L’aria della sera aleggia intorno, / il tramonto invita all’oscura notte / come guado in cui immergersi / verso la riva dell’alba / E sarà domani, ancora, / un soave risveglio di momenti, / emergendo dal libro dei sogni / con insicura memoria di tenui versi”; “…/ non resta che attendere / la notte per un nuovo fine: / vedere le stelle infinite / e cercare di raggiungerle / sulla nave dello spirito.” “Attenderò ad ogni crepuscolo / un’ala silente d’albatro a chiazzare / il pezzato mosaico delle nuvole “. “Nell’adolescenza / sognavo la fuga / su barca a vela / verso la verità / delle spiagge / di lagune felici, / ove vivere di libertà / in tempo infinito / ed indefinito. / Ancestrale sogno / vissuto in tante / notti fuggite, …”. Sogno ancestrale, atavico, il perdurare senza termine in una condizione di pieno appagamento, illusione di cui l’esistenza si prende gioco: “Sulle ali d’un sogno dorato / la solitaria verità inseguirai, / passando la tua breve vita / a cercare di rialzarti ancora /…. / Raggiungendo l’orizzonte / afferrerai l’arcobaleno, / sempre trovando un nuovo limite / …”. Cosa resta, che possa consolare delle utopie svanite? “…spargemmo al vento la nostra utopia, / l’erba della pace non può attecchire/…” L’amore, forse? “Ma non posso abbandonarmi all’amare, / è una giornata troppo tarda per me, / i gabbiani stridono nel cielo, / e si portano via il sogno fragile, / d’un amore tenue ed impossibile.” L’età matura porta la “…teporosa saggezza / d’un luminoso tramonto”, però con essa “S’aprono le porte / all’esistenza misteriosa / riconosciuta nella notte / dal firmamento stellata”. Dell’infinito che si pensa di portare entro di sé si può anche essere persuasi di entrare a far parte dopo la morte, purché si possegga la certezza della fede. L’autore seguita a cercare “…innati sprazzi di sole / nell’illusoria speranza della sera / sempre oscure nuvole scendono serrate / sull’orlata luce tenuamente merlettata”, e appunto quella debole traccia di luce lo induce a dire: “…/ dolcissima Madre Maria / vieni nei miei pensieri disordinati /come serena aurora, terra benedetta / dallo Spirito creatore”. Paola Ivana Grandi
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