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Ignazio Gaudiosi
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Note biografiche 

Ignazio Gaudiosi è nato a Circhina, attualmente città slovena, allora appartenente all’Italia, nel 1931: i genitori erano di origine salernitana ed il padre, ufficiale della guardia di Finanza, era spesso destinato in vari luoghi della Penisola. Infatti, Gaudiosi,dopo altre tappe, ha trascorso l’infanzia e la prima adolescenza a Riva del Garda, per poi rientrare nel paese d’origine negli anni del Liceo. Dopo la laurea in Giurisprudenza, si è trasferito con la moglie Grazia alla Spezia, dove ha seguito la professione forense, ricoprendo prestigiosi incarichi, e dove vive tuttora, padre felice delle figlie Anna e Barbara e nonno di tre nipotini. La passione per la poesia, che pure aveva radici lontane, si è manifestata in età adulta, con una insopprimibile voglia di scrivere, che lo portava ad annotare i versi che gli venivano spontanei su pezzi di carta e nei luoghi più impensati, tanto da destare perplessità nella moglie, che è ora una delle sue più grandi sostenitrici. I numerosi riscontri critici lo hanno indotto alla pubblicazione di parecchi volumi di versi: “Respiri in semiluce”del 1983, “Archi di parole”, del 1986, “Signora Solitudine”, del 1994, “Consuntivi d’autunno”, del 1997, “Le umane parvenze”, del 2001, curato e voluto dal prof. Neuro Bonifazi. Nel 2005, in seguito alla vittoria del Concorso internazionale “Città di Salò”, è stata pubblicata la silloge “Un anno di poesia”, ed infine la recentissima raccolta “Le scabre risonanze”. L’illustre critico Francesco D’Episcopo, docente all’Università Federico II di Napoli, gli ha dedicato uno studio, “Ignazio Gaudiosi poeta mediterraneo”, pubblicato nel giugno 2007, che si è aggiudicato il primo premio narrativa nel Concorso Le Cinque Terre, del maggio scorso.

 

 

Note critiche 

 

Ci troviamo di fronte ad una poesia complessa, quando leggiamo le liriche di Ignazio Gaudiosi, una poesia che si fonda, sì, sul sentimento del vivere, ma va alla continua ricerca della parola e della locuzione, che possano meglio infrangere il muro del significato. Un tormento, questo, che da sempre accompagna la sua vasta e variegata produzione poetica, che fin dagli esordi si è presentata come una costante creazione lessicale, sfrondata dalle regole più rigide, ma rispettosa delle regole fondamentali della lingua italiana. Un lavorio incessante, un limare e ritoccare, che punta alla perfezione, ma senza meticolosità, libero nel coniare termini assiomatici, onomatopeici, o semplicemente neologismi, con lo scopo precipuo di dare voce alla miriade di emozioni che si muovono nel complesso sentire lirico del poeta.

Sentire difficile, certo, ché si muove insieme alla riflessione sul vissuto, al fine di dare un significato ad ogni singolo evento, a collegarlo agli altri, affinché la vita non si dipani come una serie inspiegabile di fatti, bensì come un continuo svolgersi, che ha un fine e una giustificazione.

L’uso frequente della metafora, la creazione di ampie immagini, che vanno assumendo sovente i contorni dell’allegoria, l’originale utilizzo del lessico, tutto concorre ad una poetica raffinata ed intensa, e ad una lirica nuova, affascinante e scabra, decisamente suggestiva, se pure adatta ad un pubblico preparato a comprenderla.

 

 

Recensioni 

 

L’opera di Ignazio Gaudiosi è stata recensita moltissimo: di lui si sono occupati illustri critici e articoli sono apparsi su numerosissime riviste culturali. Difficile, pertanto, scegliere stralci di brani critici e recensioni, cosicché ci limiteremo a trarre dal testo di Francesco D’Episcopo  “Ignazio Gaudiosi poeta mediterraneo” alcuni passi significativi.

 

Per “Respiri in semiluce”:

“Una poesia umbratile, dal tono crepuscolare, percorre Respiri in semiluce di Ignazio Gaudiosi, che, come il titolo stesso indica, esprime un universo poetico con parole e immagini sfumate, colorate di grigio, in semiluce appunto...

Dietro un’apparente uniformità, che farebbe pensare ad una monodia, si cela, in realtà, una molteplicità di tematiche, sia pure affrontate obliquamente e tradotte in percezioni emotive, convergenti, però, verso un punto focale, che nel termine “autunno” trova la sua chiave semantica.

Autunno:metafora di fine, di attesa di morte, che spesso in immagini paesaggistiche, o anche solo in pochi elementi naturali, come le foglie ricorrenti più volte, si proietta e si esplicita, trovando in esse, per così dire, il suo correlativo oggettivo...”

 

Per “Archi di parole”:

“Vive essenzialmente di parole un poeta; parole che si sgomitolano nell’arco delle molteplici stagioni, che scandiscono la vita. Ecco perché Archi di parole è la raccolta di Ignazio Gaudiosi che mira a legare “universi lontani / come raggi di sole”, a raccontare quegli “archi del tempo” che “come fumee s’annientano”.

Il trascorrere del tempo, un tempo tutto interiore, è componente essenziale di questa poesia; si avverte un pianto di fondo, sottile, incessante, per il cancellarsi di ogni cosa, come “orma” di “inquieto passo” sulla sabbia. Non sempre, tuttavia, immagini, allontanate dal tempo, si dileguano; giacciono magari in attesa che l’evocazione le faccia riemergere, riportando in vita da “tempi svaniti” “antiche sembianze”...”.

 

Per “Signora Solitudine”:

“Ancora un “viaggio”, un’avventura nella “metamorfosi dell’io”, nei meandri di un’interiorità, che si colma di numerose presenze, a volte parvenze, vere o fittizie, di sentimenti in bianco o in nero, di sensazioni vicine o anche lontane, ma sempre avvolgenti: un’interiorità che si colora di sfumature “in grigio-rosa”, che dalle sotterranee radici , affondate nell’humus di uno sconosciuto inconscio, si inerpica alla ricerca della luce di un infinito, se non possibile, agognato.

È un viaggio solitario, però, anche se vissuto a tratti in varia compagnia, e allora la Signora Solitudine diviene fantasmagorica personificazione di uno stato quasi assoluto di vita; uno stato non demonizzante, perché non sempre, anzi quasi mai, espressione estrema di una condizione sterile, mai interpretabile con significato univoco: la signora Solitudine, che Gaudiosi disegna e che, attraverso il discorso poetico, può essere di volta in volta dannazione, rifugio, pregnanza di idee, di sogni, di progetti, è poliedrica sintesi dei tanti volti dalle molteplici espressioni, che l’uomo, non solo quello contemporaneo, si porta dentro, “momento lungo”, monologo ma anche dialogo incessante con gli imprevisti io, che popolano la vita interiore.”

 

Per “Consuntivi d’autunno”:

“Ancora l’autunno, immagine-chiave nella parabola poetica di Gaudiosi, in questa raccolta dal titolo appunto Consuntivi d’autunno, dove il consuntivo non può che essere, conoscendo la corda lirica di questo poeta, un bilancio colorato di tristezza, con le sfumature spesso dell’indifferenza, che, diversamente da quella “divina” di Montale, è “torpore”, “afasìa”, sdoppiamento sospensivo tra “due diverse verità”....

Il bilancio in negativo è anche il rimpianto per un mondo, che non solo ha mutato forme - ... – ma anche sostanza, in un’esistenza, o spesso solo sopravvivenza, senza più “miti” né “antiche verità”...”

 

Per “Le umane parvenze”:

“Nella silloge Le umane parvenze, posta a conclusione di una raccolta antologica, che da essa prende il nome, le parole, che nella poesia di Gaudiosi hanno sempre un valore espressivo pregnante, sembrano adeguarsi pienamente ai contenuti e soprattutto alla tematica di fondo: le parvenze appunto; e di parvenze si è nutrita la poesia anche delle raccolte precedenti, forse “parvenze” è il termine più ricorrente, per il ruolo chiave di una tematica, che bene si congiunge a una lirica ricca di sfumature.

In questa silloge nuova, che non a caso ha una funzione di compendio, ogni poesia sembra imbevuta di dissolvenze e risucchiata all’interno di un “indistinto magma”, ribollente di un tempo senza tempo, giacente nella parte più intima, quella che, non di rado, si “perde nel sito scuro” di inconsce sensazioni, individuali o collettive. Ecco che, allora, le parole sono chiamate a disegnare, o forse a scolpire, una realtà in evoluzione esistenziale, che di volta in volta è stagnazione, dissolvenza, stravaganza, cominciamento, ma che, comunque, presuppone, come sempre del resto nella poesia di Gaudiosi, una discesa nel “buio della notte” alla ricerca di “facelle”, le parole si avviluppano e si dipanano in tortuosi meandri, spesso oscuri, di un ermetismo difficile eppure avvolgente, per la poesia più introspettiva che Gaudiosi offre.”

 

Per “Un anno di poesia”:

“Ancora un anno di poesia, difficile, per lo meno al suo primo approccio, che soprattutto per l’oscurità di certi passaggi, per la plurisemanticità del suo linguaggio, si apre alle più svariate interpretazioni e offre un ventaglio per una riflessione sempre più approfondita sulla tematica più antica e sentita dell’universo poetico: la condizione esistenziale dell’uomo, ripiegato su se stesso a leggere dentro un dolore, una memoria, una speranza. Un monotema, dunque? Almeno apparentemente, se ad ogni raccolta ci vengono incontro gli archetipi di antiche memorie, le figurazioni simboliche di una vita segretamente intima, ma sono memorie e figurazioni in fieri, dinamicamente protese a guadagnare, di volta in volta, una stilla di conoscenza in più, un germoglio di fede, una parola nuova, sprillante – per usare un termine-chiave di questa silloge – un intero universo emozionale. Così, di fronte alla poesia, come all’alba di un nuovo giorno, il poeta ogni volta si ridesta, nella solitudine di un “letto silenzioso”, come “colto” d’improvviso da una “folgore”, con la chiara percezione di un “miracolo”, che si ripete, sempre uguale, sempre diverso.”

 

Per “Le scabre risonanze”:

“Ultima opera di Ignazio Gaudiosi, Le scabre risonanze, presenta veramente una scabrosità di contenuto e di parola. È inevitabile richiamare alla memoria la parola scabra ed essenziale di Montale, per un’analoga operazione di scavo dentro scabrosità interiori, difficili da individuare e altrettanto difficili da vivere. Uno scavo lungo, per la verità, iniziato con la prima raccolta nel lontano 1983; non è nuovo, dunque, questo tipo di operazioni, che Gaudiosi porta avanti anche in questa silloge. Nessuna smentita, allora, né svolta rispetto alla poesia precedente, ma legame tenace ad un filo segreto e intimo, che ha accompagnato nel corso degli anni il poeta e che anche in quest’ultima avventura gli consente, senza timore di smarrire la via dell’uscita, il tentativo di addentrarsi in un labirinto conoscitivo sempre più intricato.

... Poesia di svelamento, dunque, di ciò che si nasconde dietro l’angolo o negli ipogei inesplorati dell’anima; poesia che si sazia di dubbi, di domande talora irrisolte, nel tentativo di forare “ogni opacità” e di conquistare, se non una proda d’arrivo, una “vicinanza / nel procedere lento”.

... Ne emerge la pena di un vivere svenduto al compromesso, all’inganno quotidiano, specchio e parametro di una mediocritas, che non è aurea virtù, ma abbandono progressivo di ogni conquista – sogno primordiale dell’umanità – di felicità.”

 

 

Letture 

Speranze ed illusioni 

Fermo su quel pensiero,

indulgente sulla ricordanza,

quale frutto ora raccoglie?

Non la veemenza di quel tempo,

non imperiosi decibel,

ma proditori suoni cuspidali.

Si preparano veglie

per ridestate lusinghe

cure con la temperanza

dell’agopuntura.

                                                 da “Le scabre risonanze”         

L’Amore ora, ed allora? 

A volte avviene, se il cuore

prova un suo trastullo

appena appena inutile.

Scende nel crogiuolo

il distillato di sofferte ipotesi,

il gioco millenario

che ha condotto la specie

fino a questi giorni.

Ridono di noi le regole,

gli assiomi, le compiute locuzioni?

E prima?

il gesto soltanto o il borbogliamento?

l’istinto arbitro inflessibile?

Quali i ruoli, i rituali? chissà,

come di coppia ora di alati, in formazione,

o d’altra specie vista d’animali

dentro quel branco o fuori,

dietro un separè provvidenziale?

Il bello lo vedeva l’homo sapiens,

farsi più intenso l’azzurro di due occhi,

l’assenso scivolare dello sguardo

nel vuoto completo

d’un qualsiasi suono?

Com’era il rito per dire

tu sei la più bella?

                                                 da “Le scabre risonanze”            

Smarrimento 

L’eterno si disconcia e si sostanzia

di unica incorruttibile materia

nel limitato campo della mente.

Da quale recesso di pensiero

s’apre l’abisso, quale

viluppo di tentacoli ghermirà

questa novella preda, nata da sé,

fenice dalle ceneri più bianche?

Non è l’eterno,

può darsi, ma la stessa sua conferma,

il suo concepimento

a turbare l’aria di serena indifferenza,

tanto che è più facile l’urlo

che la repressa rabbia,

più comodo il dogma che la certezza ambigua.

Non esiste la fine di questa o di altra

storia, il cominciamento s’asseconda

come onda che si ripete

senza più confini nell’angustiato mare.

                                                 da “Le scabre risonanze”         

Figura 

Le roteavano lentissimi

gli occhi nell’ansa del discorso.

S’eclissavano molli

nelle palpebre più amiche,

e la parola attenta, naturale

tralasciava il senso più immediato.

Gettava nel ritroso del celeste

il rosa una sua luce,

fili di seta

su fili naturali,

insospettati segni sull’ordito.

                                                 da “Le scabre risonanze”         

La forza del ricordo 

Ottunde la vista

l’asfissia della caligine

oziosamente all’orizzonte,

turba l’assorto limitare

che quel costringimento invade

e lo sconcerta.

Soltanto la memoria,

residua forza

di un non sprecato idillio,

lascia passare,

ialina, la visione

di ciò che è lì da sempre

e non si vede.

Sorrento, nel fare della sera 

Di lumi era un effluvio

e di lampare novizie

a prima sera

quell’altro capovolto firmamento

che dall’imo saliva della valle

e dalle più lontane

disperse amenità.

Proscenio degradante

di rupi e di fondali

dentro viluppi

di vaporosi ammanti

e nei colori

del cedro e del limone:

così quella visione giù,

oltre il muretto, rapinosa

quando vincevano

gli aloni della sera.

Raggiavano minuzzoli di trine,

parvenze di ombre e di chiarìe

da un barbaglio assunte peregrino,

sorprese forse e rese

persino timorose

di disfiorare i sensi.

Saliva come vampa

una serena stasi

di umori siderali

sorgiva di giochi e di riverberi.

L’intero borgo, a fianco alla marina,

nell’alveo suo raccolto

pareva in ascensione

immerso in chiaroscuri

di varia caratura,

sedotto da rifratte apparizioni

e da illusioni,

non separate alcune,

o per evento, scisse

altre del tutto,

dalle loro corrispondenti verità.

Rimane adesso un guizzo,

un vuoto pensamento,

né si conosce il dove.

Alloggio di venturi umori

o di altre appena nate novità,

così lo vede ormai

una non mai certa memoria

di un forse mai successo avvenimento,

di una concreta ipotizzata positura

al suo finale.

In tutto un impeto stillava

e stilla ancora silente sì

ma acceso fortemente,

come l’accento

di quel ribaldo amore

che resta uguale

quand’anche perduto fosse ormai

nel fondo e dentro l’ombre

di assai crudeli lontananze,

quella che fu l’unica mira

del suo essere vero

e della sua passione.

                                     da “Le scabre risonanze” 

 

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                                                                                                             Alcune copertine dalla bibliografia del poeta Ignazio Gaudiosi 

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Uno contributo critico di Francesco D'Episcopo sull'opera poetica di Ignazio Gaudiosi

 

16 Giugno 2011

Pubblichiamo un aggiornamento sull'opera poetica di Ignazio Gaudiosi

Ignazio Gaudiosi

Antinomie

Edizioni Helicon 

Ignazio Gaudiosi si è sempre mosso tra spazi e tempi poetici, scanditi da un intimo, intenso rapporto tra il momento sfuggente e la capacità della parola di trattenerlo, il più possibile, dentro una realtà, destinata necessariamente a farsi metafora. La vita, nelle sue alterne stagioni, crea una sorta di movimento atletico della mente e del cuore, che mira a colpire con passione ma anche a rivedere la partita con distacco, non tanto e non solo per capire e cogliere eventuali mancanze ma per rimettersi, ancora una volta, in gioco, tentando la bravura e la fortuna, ineliminabili termini di vittoria e, talvolta, di sconfitta, di esultanza e di perdizione.

L’importante è che alle parole si congiungano sempre le immagini, per restituire in pieno alla vita stessa il suo destino di "catarsi e redenzione". Ogni atto, ogni gesto, modulato e visualizzato sullo schermo della poesia, che ne amplifica la risonanza e lo spettro evocativo, è chiamato a misurarsi con un corrispettivo metaforico e, sostanzialmente, metafisico, perché soltanto così la realtà può essere spremuta dal suo succo più prodigo e segreto, mostrando tutta la verità del "vaticinio", che misteriosamente racchiude. Lo stesso tono discorsivo, che segna spesso la silloge, sembra nascere dall’esigenza costante di umanizzare al massimo una linea poetica, che non può fare a meno di appellarsi a ciò che non si vede e non si dice, ma che è lì a rivendicare, interamente, i propri diritti di esserci, a gridare il proprio silenzio, a fare vedere l’invisibile più immaginifico. Tra strenua oggettivazione e suggestiva richiesta di un "tu" amoroso si gioca la vera partita di un poeta, che aspetta con calma ansiosa l’evento, l’incanto, che talvolta si cala dentro l’inganno; il sogno che trafigge ogni sostanza; nella tensione a un sublime, che purtroppo deve confrontarsi con le resistenze di un vissuto, non sempre corrispondente alla vocazione, alla visione della mente. La natura scorre e si rigenera; più difficile il compito per l’uomo, condannato e costretto da riaffioranti antagonismi a confrontarsi soprattutto con un se stesso senza sbocco e ritorno.

Il tutto è condotto nel reticolo di un pensiero poetante, dove è davvero arduo cercare e trovare gli stessi relitti di una realtà, comunque invocata e animata e attraversata da sussulti continui. Si ha, anzi, ferma l’impressione che essa risulti pretesto e parvenza di un consuntivo solo apparentemente terreno. Ciò che davvero conta è librarsi e atterrare, sì, ma solo per riprendere, con nuova avventura, il volo delle parole, tentando di conservare loro un afflato, per quanto possibile, terreno. "Nella rapita latitanza della mente", tutto è possibile, anche fuggire per tornare dove non si è mai stati. A che servirebbe (o non servirebbe) la letteratura, la poesia, se ciò non fosse possibile, o impossibile?

… la prassi poetica di Gaudiosi, tra avanzamenti e ritorni, è estremamente coerente e unitaria. La dialettica antinomia è sempre esistita nella sua poesia, nelle forme e nelle locuzioni che sono state descritte. Il rapporto tra ciò che appare e ciò che è, tra forma e sostanza, tra pubblico e privato, tra sociale e individuale, ha costituito il motivo conduttore di una ricerca, tuttavia, multivaria e polimorfa, sempre capace, cioè, di elaborare nuovi problemi e inventare diverse prospettive. Il nucleo della questione consiste, infatti, nell’antinomia , ma questa è da intendersi in chiave consapevolmente progressiva, includendo nel suo spettro lo scontro, ma anche il confronto e l’incontro. Gaudiosi, per intendersi fino in fondo, appartiene sostanzialmente a una civiltà del colloquio, del dialogo, che si ripropone come l’unica possibile per appianare e placare conflitti solo apparentemente irrisolvibili.

Il tono conversativo, confidenziale, riemerge, del resto, in molti passaggi, soprattutto finali, anche di questa silloge, quasi a voler sciogliere la tensione metaforica accumulata nel corso di ciascuna composizione. L’intensità dell’ispirazione provoca, generalmente, una densità espressiva di rara efficacia, destinata talvolta ad assumere persino una esemplarità gnomica. Il pretesto realistico, il concentrato metafisico, lungi dal contrastarsi, trovano inedite e impreviste occasioni di incontro, con sottili corrispondenze stilistiche, che possono trarre in inganno anche il critico più avveduto, ma, soprattutto, chi tende superficialmente a privilegiare una o un’altra direzione di indagine e di interpretazione. Qui è tutto stranamente, o naturalmente, compatto, complice nel sostenere una indissolubile sinergia dell’essere, che nella poesia trova il suo specchio rifrangente più compiuto, o incompiuto…

Da "Gli spazi e i tempi della poesia" – Introduzione di Francesco D’Episcopo