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Fabrizio Voltolini - Maledetto Mendelssohn
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Novità: il nuovo romanzo del nostro Socio Fabrizio Voltolini:

"Maledetto Mendelssohn"

 

Gruppo Editoriale Albatros Il Filo - Roma

 

Una post-fazione a "Maledetto Mendelssohn" di Claudio Baroni

L'autore, con molta circospezione, mi aveva chiesto se, dopo averlo letto, fossi disponibile a scrivere una nota introduttiva a questo romanzo. E io avevo già in mente che avrei risposto di sì. Poco meno di due anni fa avevo letto "Hy-hoon" e ne ero stato davvero sorpreso: bella scrittura, una storia che ti scava dentro e un finale che ti colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco, proprio quando ti stai chiedendo adesso voglio vedere dove va a parare...

Accettare l’invito non era un salto nel buio, una sorta di incosciente generosità. E mi ero detto: se il testo non tradisce le aspettative, questa prefazione la scrivo volentieri.

"Maledetto Mendelssohn" non delude le attese. Elegante impianto architettonico della storia, attenzione al dettaglio, scrittura che scivola e si increspa nei punti giusti, capacità di cogliere ogni vibrazione dell'animo umano...

Fabrizio Voltolini non è un debuttante sulla scena della narrativa, ha partecipato ad una nutrita serie di premi di livello nazionale e internazionale, e molte volte ha vinto. Ha un pubblico, che si è conquistato con "Malyn" e con "Il cercatore di armonie". Con "Hy-hoon" si è guadagnato anche una segnalazione per la finale del Campiello. Eppure l’idea di scrivere una prefazione, alla fine, non mi convinceva. Sarà perché da lettore onnivoro e disordinato, ho sempre ritenuto la libertà uno dei diritti più preziosi di chi compera e divora libri. A cominciare dalla libertà di saltare, a piè pari, le prime pagine, proprio quelle di introduzioni e presentazioni. Semmai, è alla fine, che viene la voglia di scambiare due idee, di confrontarsi con un altro punto di vista, di condividere un giudizio. Se la riflessione viene "dopo" la lettura, è opportuno che anche la sua collocazione venga dopo il testo, alla fine del romanzo. Meglio una postfazione, se la vogliamo chiamare così.

Che il racconto mi è piaciuto, che è scritto bene e che è degno di nota, l'ho già detto, quindi è inutile che lo ripeta. Lo sottoscrivo, punto e a capo. Aggiungerei solamente che il nostro autore ha una coerenza di stile ed una elevata continuità nella scrittura, ed ha una capacità notevole di creare un mondo dove il lettore si trova subito a suo agio, un universo narrativo che accosta solidità di riferimenti, spessore dei personaggi e un alone di realismo sognante.

La cosa si fa più complicata se si ha la pretesa di dare una definizione. "Maledetto Mendelssohn"! Potremmo cavarcela incamminandoci nel filone di chi ha già scritto e detto di Fabrizio Voltolini. Anche questo è "un romanzo psicologico esistenzialista di ambientazione contemporanea". Definizione ineccepibile. Perché proprio sui nervi tesi e dolenti dei suoi personaggi Fabrizio Voltolini fa scorrere il suo archetto. Le note acute vibrano e spiccano sulle armoniche, come direbbe Filippo, il solista di violino protagonista delle pagine che abbiamo appena scorso.

Questo è un romanzo che affonda il bisturi della narrazione nel cuore dell'esistenza umana, nel disperato tentativo di cogliere il mistero che spinge ognuno a naufragare nel più misterioso, esaltante, entusiasmante, doloroso e funesto dei sentimenti: l'amore.

Il vecchio maestro ha abbastanza esperienza alle spalle per sapere che resterà deluso, che soffrirà, che starà male da cani. Ma inesorabilmente scende la china che lo porta tra le braccia di Anna. Non è l'infatuazione del ragazzino, forse è la crisi dell'età che avanza di fronte alla freschezza della giovinezza. Ma l'amore all'inizio è sempre così: fresco, limpido, giovane e talvolta persino innocente. Poi s'inoltra nei labirinti del cuore e della mente, gioca a rimpiattino con la presunzione del cinico militante. E il terreno cede, com'era inevitabile e facile prevedere. Inevitabilmente chi si è voluto bene finisce con il farsi male. È il gioco della vita.

Ma questo è anche il romanzo che riprende e riannoda fili e cime lasciati liberi al termine di un altro romanzo di Fabrizio Voltolini. Filippo, il violinista, man mano racconta e si affaccia al buco nero del suo passato, svela d'essere figlio di Michele, il sarcastico e geniale scrittore che sceglierà la morte, alla fine de "Il cercatore di armonie". Parentela che è già un acconto del finale.

E tra le pagine echeggia anche l'eterno pendolo che oscilla tra la genialità e la razionalità, la libertà e l'ordine, il sogno e la realtà. Tesi e antitesi che hanno scandito l'enigmatico dialogo tra Lorenzo e Lucrezia, i due fratelli protagonisti di "Hy-hoon".

E la morte attraversa l'intero universo narrativo del nostro autore: fa capolino quando meno te l'aspetti. O forse proprio quando non resta altra via... "È dunque questo il morire?"

Maledetto Mendelssohn!

Claudio Baroni