Giuseppe Benelli - Dino Buzzati e Luigi Poletti: Il mistero dei numeri primi |
Giuseppe Benelli - Dino Buzzati e Luigi Poletti: Il mistero dei numeri primi
L’angoscia esistenziale, il nonsenso dei nostri comportamenti e l’assurdità delle situazioni umane sono alla base delle opere di Dino Buzzati, i cui romanzi e racconti esprimono il senso d’inquietudine e di ansia che riempie la vita. «Fosse nato 300 anni fa – scriveva Indro Montanelli - Buzzati sarebbe stato uno di quei cacciatori di streghe che bruciavano negli altri quelle che avevano in corpo. Oggi, dopo il passaggio di Freud, per liberarsene gli basta rappresentarle». In un mondo in cui tutto ci pare assurdo la fantasia dello scrittore ritrova e descrive le contraddizioni dell’uomo, le sue manie, i drammi che sfociano nella solitudine. Nato nel 1906 a San Pellegrino di Belluno, col padre insegnante di diritto internazionale all’Università di Milano, Buzzati dopo il liceo Parini di Milano si iscrive alla facoltà di legge. Ma sin dalla giovinezza si manifestano gli interessi e le passioni del futuro scrittore: la poesia, la musica (studia violino e pianoforte), il disegno e l’amore per la montagna che diventa la vera compagna della sua vita. Nel luglio del 1928, ancor prima di concludere gli studi, entra come praticante al «Corriere della sera». Nel 1933 esce il suo primo romanzo, Barnabo delle montagne, che ottiene successo di critica e di vendite. Due anni dopo Il segreto del Bosco Vecchio non viene accolto con lo stesso favore. Buzzati lavora di notte al «Corriere della sera» e ritorna a casa verso le tre, quando la città è immersa nel silenzio. È in una di quelle notti che prende carta e penna e incomincia: «Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di Settembre per raggiungere la fortezza Bastiani, sua prima destinazione». L’attacco de Il deserto dei Tartari, il suo capolavoro, che Buzzati considera «il libro della sua vita». Nel 1939 si imbarca a Napoli per Addis Abeba, come inviato speciale del «Corriere della sera». L’anno successivo, come corrispondente di guerra sull’incrociatore Fiume, è testimone delle battaglie di Capo Teulada, di Capo Matapan e della seconda battaglia della Sirte. Nel 1945 pubblica La famosa invasione degli orsi in Sicilia con i suoi disegni. Nel 1949 esce il volume di racconti Paura alla Scala e nel giugno dello stesso anno è inviato dal «Corriere della sera» al seguito del Giro d’Italia. Gli articoli saranno raccolti dopo la sua morte nel bel libro Buzzati al giro d’Italia, che vincerà il premio Bancarella Sport del 1982. Quest’uomo dal carattere introverso, dai modi garbati e composti, il viso lungo, il fare timido, ama le sue Dolomiti che preferisce scalare a fine estate quando la montagna ripiomba in quei silenzi che, nel suo immaginario, assumono proporzioni fantastiche. Sia nei romanzi che nei racconti, la sua poetica si nutre degli archetipi di ogni alpinista attraverso continue allusioni che rafforzano la sua favola allegorica. Anche i tetti, i lucernari, il riverbero dei lampioni, le guglie di Milano, nella distorsione ossessiva prodotta dall’amore non corrisposto di Antonio Dorigo, protagonista di Un Amore, diventano una misura insostenibile, come sugli appigli lungo una parete verticale.
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Buzzati incontra il matematico Luigi Poletti a Pontremoli nel giugno del 1953, nel clima del primo Bancarella, quello che sarà assegnato nell’agosto dello stesso anno a Ernest Hemingway col romanzo Il vecchio e il mare. Non sappiamo chi abbia parlato allo scrittore del matematico pontremolese, molto amato a Pontremoli per le sue poesie dialettali. Certamente l’intervista nella casa del matematico è particolarmente motivata e c’è da pensare che Buzzati sia venuto proprio per incontrare lo strano personaggio che ha dedicato tutta la sua vita alla magia e al mistero dei numeri primi. Il loro essere divisibili solo per se stessi e l’assoluta mancanza di regolarità determina il fascino senza tempo dei numeri primi: un magnetismo spesso impiegato come chiave per interpretazioni antropologiche o come elemento d’ispirazione per opere letterarie. Poletti, nato a Pontremoli nel 1864, quando riceve la visita di Buzzati ha 89 anni ed è ancora intento alla sua ricerca matematica con passione e creatività. Così descrive Buzzati l’inizio dell’avventura di Poletti nell’articolo Un affascinante enigma matematico del «Corriere della sera» del 16 giugno 1953: «Il signor Luigi Poletti, di 47 anni, da Pontremoli, impiegato di banca, va a trovare un vecchio amico di famiglia, il professor Gino Loria, insegnante di storia della matematica. Siamo a Genova, nel 1911». Loria, nato a Mantova nel 1862, era professore di algebra e geometria analitica all’università di Genova dal 1886 e aveva pubblicato opere di notevole importanza scientifica. «Seduto nello studio, mentre parla di cose indifferenti, distrattamente Poletti tira a sé un libro rilegato, largo e basso, una specie di atlante. Lo apre a caso: le pagine sono tutte piene di numeri, disposte in caselle regolari. Lo apre ancora più avanti: ancora numeri. “Che cos’è?” chiede Poletti tanto per dire qualche cosa. “Mi è arrivato proprio oggi” dice Loria. “È un lavoro americano. Immagina: l’elenco di tutti i numeri primi compresi nei primi dieci milioni”». Poletti è incuriosito. Lui, che ha frequentato all’università di Torino due anni di matematica, è affascinato dal mistero dei numeri. Quale importanza hanno i numeri per la comprensione della realtà? Quante cose è possibile descrivere servendosi di essi? Quali sono le loro applicazioni? Quali numeri suscitano un particolare fascino e quali segreti ancora nascondono? Infine, che cos’è davvero un numero? Il matematico esplora territori nuovi o paesaggi noti che hanno bisogno, per essere svelati, di essere osservati con uno sguardo diverso. Il matematico ha la capacità di sognare, immaginando mondi diversi, e non si fa condizionare da fini pratici che limitano gli orizzonti. Il mistero dei numeri primi affascina e inquieta: la loro successione rappresenta fin dall’antica Grecia un inesplicabile arcano scientifico. Nel 1859, il matematico tedesco Bernhard Riemann presentò una sua ipotesi che sembrava rivelare una «magica armonia» tra i primi e gli altri numeri. Nell’articolo di Buzzati i numeri primi diventano il pretesto per affrontare la sfida dell’uomo di fronte al mistero della vita. Sono i veri e propri atomi dell’aritmetica, gioielli incastonati nell’universo infinito che infondono un senso di meraviglia. Numeri senza tempo che esistono in un mondo indipendente dalla nostra realtà fisica. La loro importanza deriva dal fatto che hanno il potere di costruire tutti gli altri numeri. Eppure, a dispetto della loro apparente semplicità e della loro natura fondamentale, i numeri primi restano oggetti misteriosi. In una disciplina che si dedica a trovare ordine e andamenti regolari, i numeri primi presentano la sfida estrema: vanificano ogni tentativo di inserirli in un semplice schema. Tuttavia i matematici non sopportano di dover ammettere che non esista una spiegazione: casualità e caos sono anatemi. «I numeri – scrive Buzzati - che si possono dividere soltanto per se stessi o per l’unità, i numeri per dire così tutti di un pezzo insolubili. L’1, il 3, il 7, l’11, il 13, il 17, il 19, il 23 e cosi via. Paragonabili a quello che nel campo della chimica sono i corpi semplici. Prendete per esempio il 29: provate un po’ a scomporlo, a dividerlo. Niente, rimane duro come un blocco di granito. Si, potete dividerlo per 1, scomporlo in unità. Ma l’unità non è veramente un divisore, è la particella elementare di cui sono fatti tutti i numeri, primi e non primi, così come di elettroni, protoni, neutroni, eccetera, sono fatti tutti i corpi che esistono in natura, semplici e non semplici». Non solo non esiste una formula che possa dirci se un dato numero è primo o no, ma più si sale, più i numeri primi si rarefanno con intervalli irregolari e imprevedibili. Possono essercene tre vicinissimi e poi per scovarne un altro bisogna magari percorrere delle distanze immense. E lo scopo? A che cosa serve sapere se un numero è primo o no? «Ebbene, per certi calcoli – scrive Buzzati - è un dato indispensabile. Ma questo non succede tutti i giorni. Il motivo vero è un altro; ed è quel disinteressato desiderio di capire e di conoscere che sta alla base di ogni scienza. Si proponeva forse un uso pratico Einstein quando fondava la dottrina della relatività? Gli studiosi della struttura atomica pensavano forse alla bomba di Hiroscima? Come escludere che un giorno i numeri primi si riveleranno importantissimi anche agli effetti pratici? La loro natura misteriosa, apparentata in certo modo ai corpi semplici, non lascia confusamente presagire una futura rivelazione clamorosa quale oggi non possiamo sospettare?». Per questo la ricerca libera, svincolata da finalità pratiche, è stata storicamente tanto fruttuosa. Che cosa hanno in comune persone come Loria e Poletti che hanno fatto della matematica la loro ragione di vita? L’abilità di procurarsi conoscenza attraverso l’ebrezza del pensiero dinamico. Non hanno orrore dell’errore, ma lo usano come trampolino di lancio per uscire da situazioni scomode. Accettano di farsi perturbare e sono curiosi anche degli aspetti più bizzarri o insignificanti della realtà. A volte procedono per tentativi, altre per ragionamento. Sono soprattutto audaci. Il fascino dell’enigma e «lo stupore che fra tanti matematici dedicatisi al problema non ci sia stato neppure un italiano» determinano in Poletti la decisione di esplorare i numeri primi al di là del decimo milione. «Solo soletto, senza mezzi, senza preparazione si gettò a capofitto in un lavoro del quale ancora non poteva misurare la portata. E da principio ci furono giorni neri, in cui dubitò che le sue forze non bastassero. Per fortuna, studiando e ristudiando, ebbe una idea geniale che gli permise di semplificare immensamente la ricerca: un sistema per cui si identificano a colpo d’occhio tutti i numeri divisibili per 2, 3, 5, 7, 11 e 13. Era il Neocribrum (nuovo crivello) oggi conosciuto in tutto il mondo matematico». Il procedimento matematico del Neocribum semplificava il Crivello di Erastotene e ottenne subito riconoscimenti e attestati di stima da parte dei matematici italiani. Nel 1914 per l’editore Battei di Parma Poletti pubblicava il volume Resultati teorico-pratici di una radicale modificazione del Crivello di Erastotene. Continua l’articolo di Buzzati: «Passano gli anni, scoppia la prima guerra mondiale, Luigi Poletti è già partito per la grande impresa. Dalla riva dei 10 milioni si avventura nell’oceano dei successivi numeri, sempre più grossi e preoccupanti. Viene la pace, si parla di fascismo, Mussolini va al potere. Impassibile, Luigi Poletti allinea sui suoi registri numeri su numeri. Si firma il concordato con la Chiesa, Hitler diventa cancelliere, Poletti lavora perfino dieci, dodici ore al giorno». Dal 1928 al 1958 dà alle stampe ben quattro elenchi di numeri primi e due opere Il mistero dei numeri primi e I protometri dei numeri primi. La sua nobile ambizione, che l’Italia si facesse onore, è realizzata. Nel 1946 è eletto membro di una commissione di studio, nominata dall’«Association française pour l’avancement des Sciences», per estendere le tavole dei numeri primi oltre i dieci milioni. Nel 1951 ad Amsterdam esce la Liste des Nombres Premiers du onzième million d’après les manuscrits de J. Ph, Kulik, L. Potetti, R. J. Porter. Era il sogno di quarant’anni prima. Per Dino Buzzati la metafora più bella per comprendere il fascino imprevedibile dei numeri primi è ancora la montagna coi suoi picchi paurosi, coi suoi silenzi e la lotta assurda per scalarla. «A 89 anni, il commendatore Luigi Poletti infatti non è stanco. A passi intrepidi prosegue sempre più avanti nell’allucinante ignota selva dei numeri che si ergono ormai come giganti, tanto alti che non si riesce a scorgerne la vetta. Immaginate un intrico di ciclopiche colonne serrate l’una addosso all’altra, e una formica coraggiosa che vi si insinua in mezzo. La formica è Poletti: col suo Neocribrum egli le saggia ad una ad una ed ecco i paurosi picchi sgretolarsi, crollare silenziosamente in polvere. Ma ogni tanto, al tocco sapiente, la pietra dà un suono metallico, non trema, non si sfalda: è un numero di razza buona, è un NP, un monolite, un K2, un Everest, che intatto durerà in eterno». Continua Buzzati: «Siamo ora al giugno 1953, un bel pezzo di secolo è passato dal giorno che Poletti, nello studio del professore Loria, apri il fatale volumone. La giovinezza è un ricordo ormai lontano, i capelli hanno il colore della neve, eppure non c’è uno che gli creda quando Luigi Poletti — un garbato, sorridente, vivacissimo signore vestito in modo inappuntabile, che ricorda in magro Lewis Stone ― garantisce di aver compiuto 89 anni. Se gli è restato un cruccio è che la sua lunghissima fatica, pur tornando a onore dell’Italia, non trovi in Italia il meritato appoggio. Egli ha già pronte due nuove poderose opere: la tavola dei numeri primi del 12° e del 13° milione e, massimo suo titolo d’orgoglio, un atlante di 100.000 numeri primi di ordine quadratico oltre i 10 milioni, entro il limite di 5 miliardi, che rappresenta il più grande repertorio di numeri primi al di là dei 10 milioni. Ma chi se ne assumerà la stampa? E tanti sforzi non meriterebbero un premio che non consista in soli complimenti?».
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A Pontremoi si ricorda ancora Poletti ultracentenario passeggiare per le vie del centro storico, attento e curioso di tutto e pronto a rispondere con grande vivacità intellettuale alle domande che immancabilmente gli venivano rivolte. Qui era nato e aveva frequentato il ginnasio vescovile, per poi trasferirsi a Parma e a Torino. Poeta e musicista, è stato particolarmente amato per la capacità di esprimere in dialetto gli umori della sua città, con la sua storia e il suo repertorio di figure che la fantasia popolare ha conservato nel tempo. Pensiamo Al Campanon d’Pontrémal, che ha anche musicato, Al Lûpomanaio, poesia dalle forti tinte che disegna i contorni di leggende ancestrali, La Zûmniana espressa anche in musica. Così come le altre liriche: Al socialìsme, Al cant dal Cont Ugolìn, una traduzione in pontremolese del XXXIII canto dell’Inferno di Dante, Turpino, Vino del soglio. Tutte queste composizioni fecero la notorietà di Poletti tra i pontremolesi, assai più che non i suoi studi di matematica. Esiste una forte relazione fra il mondo dell’arte e il mondo della matematica. L’arte e la matematica sono, infatti, creazioni umane che hanno alla base la fantasia e un linguaggio rigoroso. Poletti è sempre stato in costante colloquio tra l’espressione artistica e lo studio dei numeri attraverso l’immaginazione e la creatività, che ci spingono verso i confini illimitati della conoscenza. Si tratta di visioni che fluiscono tra le sponde della razionalità e dell’immaginazione in un viaggio ininterrotto di sogni creativi e lucide fantasie. La poesia per Poletti era il suo modo di uscire dai ritmi del calcolo per rivisitare, con gli strumenti della lingua dialettale, la sua Pontremoli. Quando Poletti faceva il biennio di matematica al Politecnico di Torino, era rapito da quei calcoli, da quegli algoritmi, dalla bellezza propriamente lirica di quei ragionamenti. Dopo il lungo ansioso palpitare nell’inseguimento delle formule giungeva al trionfo inebriante dei risultati verificabili. «Tempo fa - racconta Poletti a Buzzati - era in questione il numero 2 al quadrato elevato alla settantatreesima potenza più 1: si voleva sapere se era un numero primo per risolvere un certo problema di geometria. Bene, se si volesse scrivere questo numero per disteso su una striscia di carta con caratteri di un millimetro, tutta la carta che si è fabbricata dagli antichi tempi ad oggi non basterebbe, e neppure basterebbe quella che si fabbricherà in cento secoli. Pensi: se a una estremità della striscia fosse acceso un faro, la luce arriverebbe all’altro capo soltanto dopo 75 anni. E la luce vola a 300.000 chilometri al secondo. Faccia lei il conto... Bene, alla fine si è riusciti a smascherarlo: non era un numero primo! E sorride con compatimento come per dire: con tutte le arie che si dava, sembrava un re, un imperatore, ed era un miserabile briccone». Così la gioia di creare matematica viene da quell’entusiasmante momento di rivelazione che proviamo quando tutti i tasselli sembrano andare al loro posto. È come il momento della soluzione armonica in un pezzo musicale o la rivelazione del colpevole in un romanzo giallo. L’elemento sorpresa è la qualità chiave in un viaggio matematico pieno di curve, svolte e sorprese. Con uno stile semplice e affabile Dino Buzzati coglie la forte componente poetica del personaggio Poletti, che dalle vicende apparentemente lineari della vita dell’impiegato di banca scopre un mondo fatto di lucide visioni, di ombre, di sussulti e di misteri, di miti universali perché fuori da ogni tempo e sempre attuali. Con una scrittura sapientemente sottratta alle mode, Buzzati ci riconduce attraverso l’avventura dei numeri primi ai temi ossessivi della sua narrativa: l’attesa, il trascorrere del tempo, l’illusione e la delusione, il vuoto e l’ansia di colmarlo, le infinite sfaccettature del vivere. La matematica in fondo è trovare ordine dove gli altri vedono caos, ma è anche libertà di espressione che permette di fare scelte di stile. Tutto ciò è ottenuto con sorpresa, incredulità, rifiuto, ripresa, trionfo. Una storia epica e talora drammatica per affrontare il concetto d’infinito, il più elusivo della matematica, commettendo quello che Borges ha chiamato «il massimo peccato d’orgoglio dell’umanità».
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